Il 14 gennaio 2017 è entrata in vigore la legge 242/2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”(approfondire). Questa norma va a specificare nel dettaglio cosa deve fare l’agricoltore: oltre alle finalità, infatti, indica quali sono le varietà ammesse alla coltivazione, chiarendo che tali coltivazioni non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico sugli stupefacenti, ovvero il DPR 309/1990.

La legge specifica, inoltre, che dalla canapa coltivata si possono ottenere alimenti e cosmetici prodotti secondo le rispettive norme di settore, semilavorati come fibra, canapulo, cippato, oli, carburanti sempre a fini industriali ma non cita le infiorescenze e suoi derivati. L’agricoltore è obbligato a conservare i cartellini dei semi per una durata di almeno 12 mesi: su questo punto è importante ricordare che ai fini della presente legge la riproduzione per talea è vietata.

Vengono specificate le modalità di controllo in campo da parte delle autorità, i limiti di THC negli alimenti derivati da canapa come semi, farine e oli che sono disciplinati da un decreto di attuazione del Ministero della Salute e altre disposizioni finanziarie per l’attuazione della norma.

Dal momento della sua entrata in vigore, però, si sono verificati alcuni fenomeni che dobbiamo citare e spiegare per fare chiarezza per permettere al lettore di avere un quadro chiaro. Ad un certo punto, il mainstrem ha cominciato a parlare di “Canapa Light” o “Canapa Legale”: si tratta di termini totalmente inventati perché la “L” accanto a “Cannabis Sativa L.” indica il nome di chi ha classificato il genere botanico, ovvero Carlo Linneo.

Non esiste, infatti, una “canapa light”; al limite esistono varie specie botaniche come ad esempio la Cannabis Indica, la Sativa, la Ruderalis. La canapa poteva essere coltivata anche prima di questa legge ma con altre regole, disciplinate da circolari, e la sua legalità è legata alle varietà botaniche di cannabis ammesse che oggi fanno parte di un catalogo europeo e ad una sua finalità autorizzata, come ad esempio quella per la produzione di farmaci.

A questo punto è bene ricordare che l’Italia, come tanti altri Paesi, nel 1961 ha sottoscritto una “Convenzione sul controllo delle sostanze stupefacenti” e, tra queste, nell’allegato 1 della stessa Convenzione vi è la cannabis intesa come fiori, resina grezza o purificata senza distinzione di specie o varietà botaniche. Nella convenzione (yellow list) è altresì specificato che un preparato può contenere oltre agli stupefacenti sotto controllo a livello internazionale altre sostanze non sotto controllo; in questo caso, il preparato è sottoposto alle stesse misure di controllo della sostanza stupefacente che contiene.

Più recentemente, la Commissione Narcotici delle Nazioni Unite, a seguito di una votazione, ha confermato l’inserimento della cannabis nell’allegato 1 della Convenzione del 1961 e che continui ad essere una sostanza da tenere sotto controllo. La legge 242/2016, ricordiamolo, chiarisce che è possibile coltivare specifiche varietà di canapa, ovvero quelle contenute in un specifico catalogo europeo ai sensi dell’art. 17 della Direttiva 2002/53/CE, le quali non rientrano nell’applicazione del DPR 309/1990. Ma cosa dice quest’ultima? All’art. 17 chiarisce che chiunque intenda coltivare, produrre, fabbricare, importare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle allegate, deve munirsi dell’autorizzazione del Ministero della Sanità (approfondire). Nello specifico, negli allegati al DPR ci sono sia foglie e infiorescenze di cannabis, oli e resine, nella tabella II, che il THC come cannabinoide singolo con tutte le preparazioni che lo contengono, nella tabella I; medicinali di origine vegetale a base di cannabis, sostanze e preparazioni, inclusi estratti e tinture, nella sezione B della tabella dei medicinali. Per questo motivo, un eventuale utilizzo al di fuori del percorso già normato (uso farmaceutico) deve vedere una modifica di questa norma. Una proposta di modifica – ad esempio – per escludere infiorescenze e foglie della canapa sativa del catalogo europeo dalla tabella sopra citata l’ho depositata il 9 gennaio 2020 con il progetto di legge 2331. Ve ne sono comunque altre, come ad esempio la n° 2815 su cura e riabilitazione.

Pertanto, il Ministero della Salute pubblica sul suo portale la procedura con la quale un coltivatore di cannabis può coltivare le piante di canapa per conferirle a una officina farmaceutica autorizzata. Nello specifico, va presentata una domanda congiunta con una officina farmaceutica autorizzata, alla quale si dovrà cedere tutto il materiale.

La richiesta di autorizzazione alla coltivazione e la richiesta di autorizzazione alla fabbricazione costituiscono, dunque, due parti dello stesso procedimento e devono pervenire contestualmente all’Ufficio Centrale Stupefacenti. Tra le officine autorizzate dal Ministero della Salute per trattare sostanze stupefacenti vi è anche lo Stabilimento Farmaceutico Militare di Firenze al quale, come Stato, abbiamo fornito risorse per aumentare la produzione interna, che entro fine del 2021 dovrebbe raggiungere i 300 kg di infiorescenze di canapa specificamente coltivata e prodotta per uso farmaceutico. Tenendo conto che il fabbisogno italiano è di gran lunga superiore, occorrerà sicuramente intervenire sia per aumentare la produzione interna che per facilitare eventuali collaborazioni con privati.

Ultimamente, un altro cannabinoide oltre al THC ha attratto l’attenzione del mercato: mi riferisco al CBD (cannabidiolo). Vale la pena segnalare che tale sostanza viene classificata come farmacologicamente attiva ai sensi dell’art. 1 comma 1, lettera b-bis del D.lg.vo n 219/2006. In commercio si trovano due farmaci che utilizzano CBD da estrazione da cannabis: il SATIVEX e l’EPIDIOLEX. Il CBD esiste anche di natura sintetica e, al momento, solo questa forma è di interesse delle industrie cosmetiche in quanto esse non sono autorizzate a utilizzare nessun cannabinoide di estrazione nelle loro preparazioni.

A seguito della legge 242/2016, il Ministero della Salute ha disciplinato il limite di THC per gli alimenti derivati dai semi della cannabis coltivabile, come semi, farine e olio alimentare. In questo caso, è consentita la presenza di THC in quanto durante nella lavorazione e mondatura, ancorché accurata, è impossibile togliere tutti i residui delle infiorescenze che, nel caso specifico viene considerata come contaminante dell’alimento, da cui i limiti massimi consentiti. Vi sono state anche richieste di considerare il CBD in una determinata diluizione come integratore alimentare ma, a tal proposito, occorre chiarire che l’immissione in commercio di un nuovo alimento è disciplinata dal Regolamento 258/2007 europeo, conosciuto come regolamento sul “Novel Food”. Attualmente non mi risulta che aziende italiane abbiano fatto richiesta secondo le procedure.