Dopo il Covid e dopo – cosi dicono in molti – il Reddito di Cittadinanza, puntuale torna l’allarme manodopera in agricoltura. Vediamo però come stanno le cose e, a tal proposito riprendo un lavoro parlamentare che ho lasciato in sospese con la caduta del Governo Draghi e che spero possa essere per i lettori di riflessione.

Il CREA (https://www.crea.gov.it/) pubblicato periodicamente un rapporto dal titolo “l’impiego dei lavoratori stranieri in agricoltura”. L’ultima indagine svolta – che ho letto – ci racconta che una storia piuttosto lunga, avviata nei primi anni Novanta, quando la presenza degli stranieri nell’agricoltura italiana era ancora un fenomeno limitato. Oggi invece le cose sono cambiate perché, il contesto internazionale, con flussi di migranti dall’Est Europa prima e dalle aree nordafricane poi, hanno alimentando il bacino cui attingere manodopera a buon mercato per mansioni poco qualificate e fisicamente impegnative; anche perché, diciamocelo, ai nostri figli il bracciante agricolo non lo auguriamo di fare.

Vediamo però, cosa ci dice il rapporto citato.

L’indagine evidenzia che all’inizio del nuovo secolo, la percentuale di lavoratori stranieri in agricoltura era ancora piuttosto contenuta, il 4,3% nel 2004 (primo anno in cui l’ISTAT distingue la cittadinanza nelle forze di lavoro), ma in lento aumento. Con l’ingresso di Romania e Bulgaria il ritmo di crescita diventa sostenuto, nel 2010 la percentuale è già più che raddoppiata, arrivando al 9,2%, ma è ancora in linea con l’incidenza degli stranieri sul totale dell’occupazione italiana (9,3%). Dopo il 2008, invece, si assiste in agricoltura a una progressiva sostituzione dei lavoratori italiani con cittadini stranieri che, nel 2020, arrivano a rappresentare il 18,5% del totale;

I dati ci mostrano che fino dal 2008 al 2018 i lavoratori complessivamente erano in numero inferiore ai 900 mila (tra italiani e stranieri), mentre per gli anno 2019 e 2020 il nuemero complessivo ha superato le 900 mila unità; ciononostante, i lavoratori stranieri conservano una posizione di debolezza contrattuale che si riflette sulle condizioni di lavoro e genera marginalità, creando zone d’ombra che minacciano la sostenibilità sociale del settore agricolo italiano e ne danneggiano l’immagine internazionale;

Con la legge n. 199/2016, infatti, abbiamo voluto attivare una serie positiva di strumenti ed interventi a sostegno e a tutela dei lavoratori agricoli stagionali compresa una più robusta strumentazione repressiva dello sfruttamento del lavoro e del caporalato, promuovendo altresì la Rete del lavoro agricolo di qualità con l’obiettivo di diffondere una migliore cultura della legalità, senza però riscuotere il successo sperato , probabilmente per la carenza di un fattore incentivante efficace.

In relazione al periodo di impiego, l’occupazione straniera prevalente nel corso del periodo considerato è di tipo stagionale mentre i lavoratori impiegati per l’intero anno rappresentano una minoranza, in modo particolare tra gli stranieri comunitari. Questo è prevalentemente legato al carattere periodico di una grande quantità di operazioni agricole, in particolare quelle di raccolta. Il maggiore numero di stranieri comunitari impiegati in lavori stagionali è probabilmente attribuibile a una loro maggiore facilità, rispetto agli extracomunitari, a tornare nella terra di origine una volta completata l’attività lavorativa e ritornare in Italia qualora richiamati per la successiva. A livello territoriale nelle regioni centrali, tuttavia, si nota una maggiore presenza di impiego continuativo rispetto alle altre aree del Paese, che in alcuni anni raggiunge il 50% del totale lavoro straniero fisso e stagionale;

Tra le forme contrattuali di impiego, i contratti regolari, sia a tempo fisso sia stagionale, rappresentano la maggioranza e registrano un andamento crescente dal 2008 al 2020 passando da circa meno del 70% a oltre l’80%. I contratti informali sono più diffusi al Sud e nelle Isole ma mostrano una diminuzione nel corso del periodo 2008-2020 anche in queste aree;

Sempre secondo l’indagine elaborata dal CREA, l’offerta di manodopera straniera risulta fondamentale a causa dell’effettiva mancanza di offerta nazionale e i comparti agricoli che manifestano i maggiori fabbisogni di manodopera straniera sono in primis l’orticolo/ortofloricolo, segue il settore zootecnico, poi l’olivicolo e il vitivinicolo e infine il frutticolo. Vi è sicuramente un problema culturale in quanto il lavoro agricolo è visto come povero e poco dignitoso. Per quanto riguarda i punti di forza della manodopera straniera, sicuramente la disponibilità è una caratteristica molto apprezzata dai datori di lavoro. Spesso viene richiesto un supplemento di ore di lavoro giornaliero/mensile, specialmente nei periodi di maggior bisogno e i lavoratori stranieri risultano più disponibili a venir incontro alle esigenze del datore di lavoro rispetto ai lavoratori locali. Altro punto di forza emerso dall’indagine è l’impegno, l’affidabilità e la flessibilità dei lavoratori stranieri. I lavori stagionali richiedono affidabilità nello svolgimento e, solitamente, gli imprenditori ricorrono, ove possibile, agli stessi addetti per più anni confidando non solo in un rapporto di fiducia consolidato, anche in un grado di apprendimento e specializzazione sempre maggiore;

Sempre nel settore agricolo si registra che nei due anni di pandemia 2020 e 2021, oltre alle difficoltà negli spostamenti, sono stati caratterizzati da una minor richiesta di forza lavoro per le attività di raccolta per via delle avversità climatiche che hanno ridotto di molto e in alcuni areali quasi azzerato le rese. Molti stagionali, quindi, hanno cercato alternative, trovandole soprattutto in Germania, Olanda e Inghilterra, Paesi tra l’altro più attrattivi perché le aziende che li assumono beneficiano di sgravi fiscali e contributivi che a parità di costi i guadagni sono maggiori rispetto all’Italia; si rilevano altresì esigenze manifestate dalle aziende e dalle associazioni di categoria del settore primario relativamente alla necessità di procedere urgentemente al reclutamento di personale per determinati lavori a carattere stagionale e considerate le difficoltà di reperimento.

I questo contesto però è utile rilevare che l’andamento demografico negativo, europeo e in particolar modo quello italiano, prevede che al 2040 (dati Nazioni Unite), il numero della popolazione in età lavorativa (20-64 anni) diminuirà sensibilmente. Facciamo qualche esempio: senza flussi migratori, ad esempio la Germania si avranno 9.5 milioni di lavoratori in meno, l’Italia 8 milioni in meno, la Spagna 5.4 milioni in meno e la Francia -2.3. Se invece consideriamo i flussi migratori previsti, si avrà rispettivamente un numero sempre significativamente negativo di 6.9, 6.3, 4.7 e 1.3. Nel complesso in Europa mancheranno circa 47 milioni di lavoratori considerando i flussi migratori e 61 se blocchiamo le frontiere.

Come riportato dall’ISTAT nel comunicato stampa su Occupati e disoccupati – marzo 2022 pubblicato il 2 maggio scorso il numero di occupati torna a superare i 23 milioni. L’aumento osservato rispetto all’inizio dell’anno, pari a quasi 170 mila occupati, si concentra soprattutto tra i dipendenti. Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 800 mila unità, in oltre la metà dei casi riguarda i dipendenti a termine, la cui stima raggiunge i 3 milioni 150 mila, il valore più alto dal 1977. Il tasso di occupazione si attesta al 59,9% (record dall’inizio delle serie storiche), quello di disoccupazione all’8,3%, tornando ai livelli del 2010, e il tasso di inattività, al 34,5%, scende ai livelli pre-pandemici. Siamo, infatti, di fronte ad una contrazione del numero dei disoccupati, tra i quali sono inseriti i percettori del RdC, ad una contestuale crescita degli occupati e un decremento significativo degli inattivi (le persone tra i 15 e i 64 anni che non hanno un lavoro e non lo cercano), in media pari a circa 170.000 unità rispetto al 2018;

Dall’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, che, secondo i dati Inps, aggiornati al dicembre 2021, sono 1,2 milioni i nuclei familiari beneficiari di Rdc in Italia (l’86% di nazionalità italiana), l’importo medio dell’assegno mensile è di 587 euro, non si rileva una flessione del numero dei lavoratori a disposizione del sistema agricolo, infatti (dati ISTAT elaborati dal CREA), nel 2018 si registrano 857 mila occupati per un totale di ore pari a 604.072, nel 2019 si registrano 891 mila occupati per un totale di ore pari a 613.121; nel 2020 si registrano 909 mila occupati per un totale di ore pari a 597.767 (in linea con il blocco del lavoro dovuto alla pandemia) e per il 2021 si registrano 916 mila occupati per un totale di ore pari a 620.295;

Sempre nel settore agricolo, è altresì vero che dei circa 900 mila occupati, 100 mila hanno contratti a tempo indeterminato mentre gli altri lo hanno di tipo stagionale. Di questi, circa 350 mila (italiani e stranieri) non raggiungono i requisiti minimi per la disoccupazione. Questi dati, protetti da privacy, sono a disposizione dell’Inps e sono divisi per Comune come si può vedere a questo indirizzo: https://servizi2.inps.it/servizi/ElenchiAnnualiOTD/Default.aspx;

Relativamente a quest’ultimo punto voglio segnalare due iniziative, quella di Veneto Lavoro e i Centri dell’Impiego e qualla di EBAT a Siracusa, cosi come altre iniziative autonome delle associazioni di categoria o “io resto in campo” del Ministero del Lavoro, che tentano di mettere insieme domanda e offerta con varie tecniche che, a mio avviso sono poco impattanti nel complesso.

Cosa fare:

  • migliorare l’approccio delle politiche nazionali/regionali, soprattutto nella gestione dei flussi (politiche nazionali con il decreto flussi) e nell’attenzione e controllo dell’impiego di manodopera sul territorio (politiche regionali), proprio in considerazione del forte fabbisogno stagionale soprattutto in alcune aree regionali;
  • attivare misure incentivanti per la rete del lavoro agricolo;
  • promuovere con gli istituti agrari relazioni con le aziende agricole e del settore agroalimentare al fine di favorire l’incontro tra le richieste del mercato e gli istituti formativi;
  • promuovere una piattaforma per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche migliorando quanto realizzato da Anpal, integrando le informazioni presenti sia nei database di Agea e dell’Inps, in modo che le imprese, con facilità possano contattare direttamente, o tramite una corpo intermedio, il persone necessario, anche selezionandolo tra coloro che no raggiungono i requisti minimi per la disoccupazione agricola.