Voglio condividere con voi un lavoro dell’amico Oreste Gerini dal titolo : Il valore che potrebbe portare ad un (piccolo) territorio il riconoscimento di una piccola (ma importante) Indicazione Geografica

Mai troppe volte potrà essere sottolineata l’importanza che ha il primo considerando del regolamento 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari in merito al valore che il legislatore comunitario attribuisce alle produzioni a Denominazione di Origine Protetta, Indicazione Geografica Protetta e Specialità Tradizionali Garantite ed all’importanza della loro protezione, a garanzia sia dei produttori che dei consumatori “La qualità e la varietà della produzione agricola, ittica e dell’acquacoltura dell’Unione rappresentano un punto di forza e un vantaggio competitivo importante per i produttori dell’Unione e sono parte integrante del suo patrimonio culturale e gastronomico vivo. Ciò è dovuto alle competenze e alla determinazione degli agricoltori e dei produttori dell’Unione, che hanno saputo preservare le tradizioni pur tenendo conto dell’evoluzione dei nuovi metodi e materiali produttivi”.

Un nuovo concetto, quindi, relativamente alle produzioni legate ad un certoa mbiente, ad una certo patrimonio di cultura e tradizioni tramandate nel tempo, a determinate pratiche colturali o trasformative, ad un know how che non esiste altrove. Entriamo nel mondo delle produzioni agroalimentari disciplinate dal Regolamento 1151/2012 partendo da una sintetica spiegazione del loro significato

La «denominazione di origine protetta» (acronimo DOP, 168 quelle riconosciute in Italia) è un nome che identifica un prodotto:
a) originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati;
b) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani;
c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata.

Tra i più noti prodotti a D.O. possiamo ricordare il Parmigiano Reggiano DOP, il Grana Padano DOP, il Prosciutto di Parma DOP, il Prosciutto di San Daniele DOP, la Mozzarella di Bufala Campana DOP, ma anche piccole produzioni, magari senza penetrazione nei mercati internazionali ma che tanta importanza hanno localmente: Miele della Lunigiana DOP, Farina di castagne della Lunigiana DOP, l’aglio di Voghera DOP, l’Asparago bianco di Bassano DOP.

La «indicazione geografica tipica» (acronimo IGP, 131 quelle riconosciute in Italia) è
un nome che identifica un prodotto:
a) originario di un determinato luogo, regione o paese;
b) alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità; la reputazione o altre caratteristiche;
c) la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata.

Anche in questo caso riporto qualche esempio tra i più noti: la Bresaola della Valtellina IGP, il lardo di Colonnata IGP, l’olio extravergine di oliva Toscano IGP, ma anche il fungo di Borgotaro IGP, il carciofo di Paestum IGP, l’insalata di Lusia IGP.

Sempre secondo le definizioni date dal regolamento si intende per “specialità tradizionale garantita” (acronimo STG, 3 quelle italiane) un prodotto ottenuto con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a una pratica tradizionale per tale prodotto o alimento e/o ottenuto da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente. Qui gli esempi che si possono fare per i prodotti STG italiani esauriscono l’elenco. In ordine di riconoscimento: la mozzarella STG, la pizza napoletana STG, la Amatriciana tradizionale STG.

Chi intende produrre prodotti a DOP/IGP/STG deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite in uno specifico disciplinare di produzione e sottoporsi al controllo di uno specifico organismo (unico per ogni Indicazione Geografica), che può essere pubblico o privato, riconosciuto e autorizzato a svolgere tali compiti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) attraverso il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF).
Il disciplinare di produzione definisce tutti gli aspetti relativi al prodotto, a partire dalla denominazione riconosciuta, la qualità e l’origine delle materie prime utilizzate per la sua produzione, le modalità di trasformazione, conservazione e commercializzazione, fino alle modalità di offerta del prodotto al consumatore finale.

A livello nazionale esistono poi i prodotti agroalimentari tradizionali: sono prodotti che non hanno specifica protezione legale ed un sistema sanzionatorio dedicato, peraltro così come le STG (per i prodotti DOP ed IGP food il sistema sanzionatorio specifico è quello previsto da Decreto Legislativo 297/2004). Si tratta, in sostanza, di un elenco di prodotti tradizionali, suddivisi per regione e riportati in un elenco che viene aggiornato ogni anno con un decreto del Mipaaf. L’ultimo elenco approvato, suddiviso per regione, è consultabile sul sito www.politicheagricole.it : per essi è prevista una ricetta tradizionale ma non un disciplinare di produzione.

Altra tipologia di indicazione facoltativa e aggiuntiva attribuibile ai prodotti agroalimentari è quella di “prodotto di montagna”, con riferimento a quelli ottenuti e trasformati in comuni parzialmente o totalmente montani (art. 32 par. 1 del regolamento (UE) 1305/2013). Non esiste un vero e proprio sistema di controllo e certificazione per i prodotti che si fregiano di questa origine; il decreto Mipaaf (n. 57167 del 26/7/2017) istitutivo del simbolo distintivo prevede solo che il Dipartimento ICQRF del Mipaaf, gli altri Organi di controllo ufficiali, le Regioni e le province autonome “effettuano i controlli tesi a verificare il rispetto delle disposizioni che consentono di utilizzare l’indicazione facoltativa di qualità “prodotto di montagna” di cui al regolamento (UE) 1151/2012, al regolamento delegato (UE) n. 665/2014 ed al presente decreto”.

Non a caso nella descrizione dei prodotti agroalimentari tradizionali ho evidenziato tre prodotti tipici della Lunigiana (ho scelto questi a titolo di esempio, ma nell’elenco ce ne sono molti altri, così come le considerazioni che farò in merito a questi prodotti tipici della mia terra di origine sono estendibili a tutta la restante parte del territorio nazionale), i Testaroli della Lunigiana, la torta d’erbe della Lunigiana, il Panigaccio di Podenzana: sono alimenti che tutti conoscono, non solo all’interno del territorio della Lunigiana ma in quasi tutta Italia grazie all’ingresso che le più grosse ditte produttrici e distributrici hanno fatto in alcune catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Sono però prodotti che non godono di nessuna protezione, né dentro né al di fuori del territorio in cui sono stati pensati e prodotti secoli fa, e migliorati nel tempo nelle loro caratteristiche.
Cerchiamo di spiegare meglio. Se qualcuno all’interno del territorio storicamente riconosciuto come “Lunigiana” produce panigacci o testaroli o torta d’erbe non seguendo le ricette “tradizionali”, quindi propone in vendita un prodotto diverso da quello che un consumatore/acquirente si aspetterebbe, non può essere soggetto a nessuna sanzione. Se qualche ristoratore di Milano, piuttosto che di Palermo offre agli avventori del locale Panigacci di Podenzana, non rivendicando l’origine ma la tipologia del prodotto (cioè non affermando che vengono da Podenzana, ma asserendo che sono uguali, nella sostanza, al prodotto agroalimentare tradizionale) non può essere sanzionato perché non esiste una norma che tuteli forme di imitazione/contraffazione dei prodotti agroalimentari tradizionali.

Nonostante tutta la poesia di cui spesso vengono circondate, zero protezione hanno anche le cosiddette “denominazioni di origine comunale”, o De.Co., come sono meglio note. E’ di tutta evidenza che il legare un prodotto ad un territorio attraverso una delibera comunale, senza un sistema sanzionatorio (amministrativo o penale) per punire chi contraffà o imita la De.Co. riconosciuta, rende l’ipotesi di protezione assolutamente inefficace: la protezione può essere efficace solo e unicamente se chi viola le norme di produzione e commercializzazione fissate da una norma nazionale (e registrata in Unione Europea) sa che può incorrere in sanzioni amministrative e/o penali.

Un esempio locale, per la Lunigiana, che può far riflettere sulle opportunità offerte da una produzione tipica che, attraverso opportune campagne promozionali, ha assunto una notevole notorietà è stata la registrazione del Fungo di Borgotaro IGP, la cui zona di produzione comprende il territorio idoneo nei Comuni di Berceto, Borgotaro (Borgo Val di Taro), Albareto, Compiano, Tornolo e Bedonia in provincia di Parma e nei Comuni di Pontremoli e Zeri in provincia di Massa Carrara.
Al di là della indiscutibile qualità del prodotto, il fungo ha avuto un notevole impatto su tutti i settori correlati alla sua ricerca e raccolta, in particolare sul settore dei servizi alimentari (ristorazione, panifici e negozi di prodotti alimentari in genere) e in quello alberghiero delle zone di raccolta, in particolare nei periodi di “nascita” dei funghi, abbinando la possibilità di conoscere zone boschive e vallate incontaminate alla gioia di trovare un (o magari tanti) fungo. In sostanza la notorietà del prodotto ha fatto crescere l’afflusso turistico giornaliero o per periodi più lunghi, sia di appassionati della ricerca dei funghi che di turisti generici, amanti della vita all’aperto, delle camminate nei boschi, di una natura che, in quella zona appenninica è veramente da sogno. Naturalmente, all’indotto generato, va aggiunta la riscossione del pagamento delle autorizzazioni alla raccolta dei prodotti del sottobosco.
Perché l’esempio di tale successo non è stato seguito dai prodotti agroalimentari tradizionali forse più famosi della lunigiana, ossia i testaroli della Lunigiana, la torta d’erbe della Lunigiana, il panigaccio di Podenzana? Per tutti vedrei percorribile la richiesta del riconoscimento della Indicazione Geografica Protetta, tenendo conto che l’approvvigionamento totale delle materie prime necessarie per la loro produzione “in loco” sarebbe praticamente impossibile, anche considerando la necessità di maggiore richiesta di materie prime legata alla crescita della (sperata) domanda di mercato dopo il riconoscimento della (o delle) indicazioni geografiche.
E l’individuazione del territorio di produzione dovrebbe lasciare da parte ogni tipo di campanilismo ricomprendendo tutti i comuni della Lunigiana, possibilissimo questo anche per il Panigaccio di Podenzana, che porta il nome di un solo Comune ma la denominazione può essere legata agli altri comuni lunigianesi senza problemi. Ciò consentirebbe, anche attraverso forme di cooperazione, produzioni tali da superare la massa critica necessaria per entrare in tutti i canali della GDO e quindi amplificare in enorme misura i canali di vendita e, attraverso opportune forme di promozione e valorizzazione, porterebbe ad un notevole incremento del flusso turistico e quindi di nuove opportunità lavorative.
Nel territorio lunigianese, sempre nel settore food, non possiamo non ricordare l’olio extra vergine di oliva toscano IGP (la cui etichetta può riportare, in aggiunta alla denominazione protetta, la sottozona “Colline della Lunigiana”), il pane Toscano DOP e il miele della Lunigiana DOP, il primo miele italiano per il quale è stata riconosciuta la Denominazione di Origine Protetta, ed infine, ma non meno importante, la farina di castagne della Lunigiana DOP. Per il pane e l’olio la zona di produzione ricomprende tutto il territorio amministrativo della regione Toscana e, per il miele e la farina, solo alcuni comuni della provincia di Massa Carrara. Ma se la farina di castagne della Lunigiana è riconosciuta come Denominazione di Origine Protetta, e le castagne con cui è prodotta devono essere prodotte in Lunigiana, perché non tentare di ottenere la protezione anche del marchio castagna della Lunigiana DOP (o IGP)? In Toscana ci sono già casi di riconoscimento di denominazione di origine per la castagna come il marrone di Caprese Michelangelo DOP, la castagna del Monte Amiata IGP, il marrone del Mugello IGP.

E’ evidente l’impatto che tutti i prodotti che ho ricordato in questa breve trattazione potrebbero avere sul territorio lunigianese, se ben valorizzati e resi noti nelle loro peculiari caratteristiche attraverso apposite azioni di promozione. Forse nessuno ha mai pensato di legare in maniera forte e unica la Lunigiana a specifici prodotti, limitando al solo territorio individuato nel disciplinare di produzione la zona di produzione, fissare gli ingredienti, le modalità di produzione e di vendita, magari ritenendo eccessivamente complicato il riconoscimento nazionale ed europeo, ma così non è. Il riconoscimento è un gioco di squadra tra associazioni di produttori, Regioni, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e Commissione Europea.
Se le precedenti argomentazioni hanno suscitato l’interesse, o anche solo la curiosità di qualcuno, tutte le informazioni sulle procedure da seguire sono dettagliatamente descritte all’indirizzo web https://dopigp.politicheagricole.gov.it/prodottiagroalimentari.

Naturalmente passare da un prodotto “convenzionale” ad uno DOP o IGP comporta dei costi aggiuntivi: l’Organismo di controllo e certificazione, obblighi di etichettatura, oneri consortili (se viene creato un Consorzio di tutela riconosciuto) e autorizzazioni sanitarie. Ma niente sono gli oneri aggiuntivi in confronto agli aspetti positivi del riconoscimento, sia per l’effetto sul prezzo di vendita che per i vantaggi economici (diretti e indiretti) che la tutela delle denominazioni porterebbe a tutto il territorio.
La tutela del prodotto a seguito del riconoscimento della Indicazione Geografica avrebbe, anche, come conseguenza che diventerebbero irregolari tutti gli altri prodotti similari che possono ingenerare confusione nel consumatore sfruttando la notorietà del prodotto “originale” con una protezione estesa alle vendite on line grazie agli accordi di collaborazione che l’ICQRF ha con i principali attori dell’ecommerce internazionale (come noto la rete non ha confini geografici).

Chi vorrà mangiare al ristorante Testaroli della Lunigiana, Panigacci di Podenzana o Torta d’erbe della Lunigiana dovrà necessariamente farlo in locale sito nel territorio delimitato dal disciplinare di produzione di ognuno dei tre prodotti, o in locali siti in altre zone che hanno acquistato il vero prodotto lunigianese, e nessuno potrà offrire ai clienti della ristorazione, a Trieste come a Catania, panigaci “tipo” Podenzana; e non potrà farlo neppure nessuno, anche nel territorio delimitato dal futuro disciplinare di produzione, che non aderisca al sistema di controllo e certificazione obbligatorio per entrare nel circuito delle Indicazioni Geografiche.
Rigidità eccessiva? Non proprio. Leggiamola come identità e legame del prodotto con il territorio, garanzia per i consumatori e per i produttori onesti, contrasto ad ogni forma di concorrenza sleale. Ne vale la pena.