Il tema dei “danni da fauna selvatica” e conseguentemente la “gestione della fauna” vede una duplice competenza tra Stato e Regioni che è la causa – a mio avviso, come per altre materie – di una risposta ad oggi poco efficace, in particolar modo se parliamo degli ungulati selvatici che vedono una popolazione da tempo in crescita.

Su questo punto alcune Regioni (Calabria, Basilicata, Molise, Piemonte, Toscana) stanno regolando il prelievo di selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge 157/92 attraverso la predisposizione, in base all’articolo 11-quaterdecies, comma 5, della legge 248/2005 e sentito il parere dell’ISPRA di adeguati piani di abbattimento selettivi, distinti per sesso e classi di età, avvalendosi anche di cacciatori appositamente abilitati.

Le Regioni e le Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano, sentito il parere dell’Istituto nazionale per la fauna  selvatica  o, se  istituti,  degli  istituti  regionali,  possono, sulla  base  di adeguati piani di abbattimento selettivi, distinti per sesso e classi di età,  regolamentare  il  prelievo  di  selezione  degli  ungulati appartenenti alle specie cacciabili, anche al di fuori dei periodi  e degli orari di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157.

Diversamente le regioni che hanno scelto altre vie che incidono sull’articolo 19 comma 2 della legge 157/92 si sono trovate a contendere con lo Stato in Corte Costituzionale, sempre con esiti negativi.

Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio  zootecnico, per la tutela del  suolo,  per  motivi  sanitari,  per  la  selezione biologica, per la tutela del  patrimonio  storico-artistico,  per  la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche  nelle  zone  vietate alla  caccia.  Tale  controllo,  esercitato   selettivamente,   viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su  parere dell’Istituto nazionale per la fauna  selvatica.  Qualora  l’Istituto verifichi l’inefficacia  dei  predetti  metodi,  le  regioni  possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono  essere  attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali.  Queste  ultime  potranno  altresì  avvalersi   dei   proprietari   o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani  medesimi,  purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché  delle  guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per  l’esercizio venatorio.

L’articolo 19 comma 2 infatti specifica che: <<Qualora  l’Istituto verifichi l’inefficacia  dei  metodi ecologici,  le  regioni  possono autorizzare piani di abbattimento.>> che devono essere effettuati: <<dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali.  Queste  ultime  potranno  altresì  avvalersi   dei   proprietari   o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani  medesimi,  purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché  delle  guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per  l’esercizio venatorio>>. Per tale motivo, analizzando i numeri delle Guardie Regionali e Provinciali abilitate in confronto ai Selettori abilitati, vediamo che quest’ultimi sono in numero nettamente superiore ai secondi per cui il loro utilizzo seguendo la norma precedente risulta – allo stato attuale – più funzionale. A titolo di esempio nella Regione Umbria non risulta alcuna presenza di Guardie Provinciali o Regionali contro i circa 8.000 selecontrollori; nelle Marche 47 Guardie contro gli oltre 6.000 selecontrollori oppure la Toscana con 50 Guardie contro oltre 10.000 selecontrollori.

Per quanto riguarda la problematica relativa al risarcimento dei danni al settore agricolo, il Ministero dell’Agricoltura ha provveduto ad effettuare la notifica alla Commissione europea di uno schema di decreto interministeriale che disciplina le modalità di concessione degli aiuti per le misure preventive e per gli indennizzi di danni provocati da fauna selvatica omeoterma alle produzioni agricole, secondo le condizioni e i criteri indicati dagli Orientamenti dell’Unione Europea per gli aiuti di Stato nei settori specifici. Con decisione 8522/2019 la Commissione ha approvato tale regime. Il  citato decreto di concerto con il Ministero dell’Ambiente è in attesa di emanazione e prevede la possibilità di risarcimento dei danni arrecati alle sole imprese attive nella produzione agricola primaria, ad attrezzature, infrastrutture ed animali, da qualsiasi animale che risulti “protetto” dalla legislazione unionale o nazionale; vengono compresi anche i danni causati da altre specie, anche cacciabili come il cinghiale, se ricadenti su un’area protetta. Per i danni provocati da animali “non protetti” in aree non protette, l’aiuto è possibile solo in de minimis (25.000 euro).

Al fine di prevenire la diffusione della Peste suina africana (PSA) è in lavorazione un decreto che obbliga le Regioni a predisporre un Piano di gestione e controllo della specie cinghiale contenente la quantificazione della consistenza della specie all’interno del proprio territorio di competenza suddivisa per provincia, i metodi ecologici, le aree di intervento diretto, le modalità i tempi e gli obiettivi annuali di prelievo, in conformità alle disposizioni del Piano Nazionale di sorveglianza e eradicazione della peste suina, presentato dal Ministero della Salute ai sensi del Regolamento UE n°652/2014. Lo stesso decreto istituisce presso il Ministero della Salute un sistema nazionale di raccolta dati per il monitoraggio complessivo. Nello stesso è anche presente l’azione di predisporre congiuntamente alle Regioni i criteri di biosicurezza degli allevamenti e quindi gli interventi di adeguamento. Relativamente a quest’ultimo punto è bene ricordare che il D.lgs. 200/2010 identifica due modalità di allevamento in “stabulato” e “semibrado”. Quest’ultimo tipo di allevamento ha una maggiore attitudine a problematiche relative alla biosicurezza, per questo l’allevatore deve prevedere un analisi del rischio connessi a tale sistema di gestione (Reg. 178/2002) e in particolar modo alla possibilità di contatto con fauna selvatica. La Direttiva 2003/99/CE recepita con il D.L. 191/2005 elenca i principali agenti zoonosici: Afta epizootica, Malattia Vescicolare, Peste Suina classica, Peste suina africana e Malattia di Aujeszki. Molta importanza va data alla recinzione esterna (esistono dei criteri) e qualora l’allevamento sia collocato in una zona ad alta presenza di cinghiali deve essere prevista una doppia protezione.

E’ inoltre all’esame della Camera una modifica normativa alla legge 157/92 che reca disposizioni per aumentare di un mese il prelievo venatorio del cinghiale (modifica articolo 18); specificare meglio il prelievo selettivo con l’introduzione di un nuovo articolo (18-bis) e infine una delega al Governo per disciplinare le modalità di commercializzazione della carne degli ungulati abbattuti durante le attività di contenimento. In merito a quest’ultimo punto è bene ricordare che all’art.21 comma 1 della legge 157/92 si fa divieto di commerciare fauna selvatica morta, vendere o acquistare uccelli vivi o morti, vendere o acquistare  esemplari di fauna selvatica, ad eccezione, in particolare, della fauna selvatica lecitamente abbattuta. Risulta libero l’autoconsumo della fauna selvatica cacciata. Il tema della cessione di cacciagione è legata a profili sanitari (Reg. 853/2004) e su questa direzione diverse regioni hanno disciplinato tale commercializzazione direttamente dal cacciatore al consumatore finale: Piemonte (anche a laboratori o esercizi di somministrazione),Valle D’Aosta, Lombardia, Liguria (anche a laboratori o esercizi di somministrazione), Bolzano, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana (anche a laboratori o esercizi di somministrazione), Marche, Umbria (det. dir. 5 aprile 2011 n. 2221), Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia (divieto totale), Calabria (anche a laboratori o esercizi di somministrazione), Molise (divieto), Sicilia (divieto), Sardegna (divieto).

In ultimo si segnala che il 19 dicembre 2020 il Consiglio dei Ministri delibera l’annullamento della deliberazione della Giunta della Regione Marche n° 834 e la 1235 del 2020 per il prelievo allo storno, del colombo, della tortora in quanto non fornivano le documentazioni richieste come previsto dall’articolo 19-bis della Legge 157/92 che riporto sotto i primi 3 commi:

1. Le regioni disciplinano l’esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, conformandosi alle prescrizioni dell’articolo 9, ai principi e alle finalita’ degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva ed alle disposizioni della presente legge.
2. Le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, possono essere disposte solo per le finalita’ indicate dall’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 79/409/CEE e devono menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo e’ soggetto e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto dall’articolo 27, comma 2. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d’intesa con gli ambiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini.(*)
3. Le deroghe di cui al comma 1 sono applicate per periodi determinati, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS)(*), e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave(**) diminuzione.

Una sentenza ancora più recente della Corte costituzionale, la n. 21/2021, su alcune disposizioni della legge regionale toscana in materia di caccia e fauna selvatica costituisce un importante bussola anche per le altre regioni, in linea con quanto scritto precedentemente, sul tema di come legiferare, ad integrazione della normativa statale, in materia di attuazione dei piani di abbattimento.
I giudici della Consulta hanno ritenuto in gran parte legittimo l’intervento del legislatore regionale, ed in particolare:
1) hanno ritenuto che nell’attuazione dei piani di abbattimento la Regione possa avvalersi, oltre che di soggetti già previsti o comunque riconducibili al comma 2 dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992, anche di ulteriori soggetti, purché muniti di licenza di caccia; si tratta delle «guardie venatorie volontarie» e delle «guardie ambientali volontarie» (entrambe figure che individuano soggetti privati muniti anche della qualifica di guardia giurata), nonché delle guardie giurate, «purché adeguatamente preparate sulla normativa di riferimento». Ciò con la specificazione che al «corpo di polizia provinciale» rimanga assegnato il ruolo del «coordinamento» dei piani di abbattimento, a dimostrazione che le ulteriori figure “ammesse” risultano, in ogni caso, coinvolti in un ruolo meramente ausiliario.
2) per gli interventi di controllo numerico della fauna selvatica e per l’attuazione dei connessi piani di abbattimento, possono essere coinvolti anche i cacciatori, sempre «che abbiano frequentato appositi corsi di preparazione organizzati dalla Regione stessa sulla base di programmi concordati con l’ISPRA».
3) per prevenire o eliminare i danni alle produzioni agricole, la Regione può autorizzare, in qualsiasi periodo dell’anno, i cacciatori abilitati, i proprietari o conduttori dei fondi interessati e le squadre di caccia al cinghiale, indicate dall’ATC (ambito territoriale di caccia) al controllo dei cinghiali. Questo tenendo presente che il termine «controllo dei cinghiali» è riferibile esclusivamente a quello attuato con metodi ecologici, senza alcuna possibilità di estenderlo anche ai piani di abbattimento.
4) la norma, di conseguenza, viene ad assumere, con riferimento alla specie cinghiale, un carattere di chiusura nel sistema delineato dall’art. 37 della legge reg. Toscana n. 3 del 1994, e che non sussiste alcun contrasto con il comma 2 dell’art. 19 della legge n. 157 del 1992. L’elenco dei soggetti previsto da tale norma statale si riferisce, infatti, soltanto all’attuazione dei piani di abbattimento, in quanto realizzano la estrema ratio del controllo faunistico, mentre la medesima prescrizione la norma statale non dispone in relazione a quei metodi che, in quanto ecologici, non possono nemmeno potenzialmente trasmodare «nella compromissione della sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorché nocive» (sentenza n. 392 del 2005).
5) la Corte ha invece escluso, confermando un orientamento ormai consolidato, che l’elenco dei soggetti abilitati a partecipare alla realizzazione dei piani di abbattimento possa essere integrato attraverso il mero coinvolgimento dei cacciatori, senza quindi la previsione di specifici e adeguati programmi di formazione in materia di tutela ambientale.