Oltre 10.000 anni fa, indipendentemente dal luogo, i cacciatori-raccoglitori sono diventati agricoltori. Questo oramai è un fatto. Motivo? Liberarsi dell’aleatorietà della propria esistenza. La “domesticazione” e la “coltivazione” sono i due processi che “inventano” l’agricoltura. I primi in assoluto, in base ai ritrovamenti ed agli studi scientifici fatti, sono stati gli abitanti della Mezzaluna fertile dove, nei pressi dei monti Zagros, sono state ritrovate le tracce più antiche di attività agricole con la domesticazione e coltivazione del frumento, orzo, piselli, ceci, lenticchie e lino.

Successivamente (9.000-7.000 a.c.), sulle rive dello Yangtze e del Fiume Giallo si sviluppano le coltivazioni dell’impero cinese. Oltre il loto, il giglio d’acqua, la castagna d’acqua, la zizzania e la cannuccia di palude, il miglio e il panico si ritrova anche un cereale, l’oryza rufipogon, che è il progenitore del riso, nutrimento odierno di oltre 2 miliardi di persone. Una corretta alimentazione richiede che accanto ad un “carboidrato” ci debba sempre essere una “proteina”: e la soluzione fu trovata nella soia, oggi il legume più coltivato del mondo. Il mais nasce in Messico, nella valle del fiume Balsas, dal progenitore teosinte. Il teosinte è in origine una pianta sia maschile che femminile, contiene pochi semi racchiusi in un involucro. La domesticazione ha modificato radicalmente questi caratteri: oggi il mais ha un unico stelo, una sola spiga, con molti semi che restano attaccati. La patata nasce in Perù: questa fornirà alla popolazione i “carboidrati” necessari al nutrimento, mentre le “proteine” saranno disponibili dalla nocciolina americana. Sempre in Perù ha origine il pomodoro. All’inizio aveva piccole bacche (meno di un centimetro); più tardi, la domesticazione ha “portato” il pomodoro che conosciamo oggi. Questo breve racconto vuole far comprendere che la domesticazione delle piante selvatiche ne ha permesso la coltivazione e conseguentemente lo sviluppo dell’agricoltura e della civilità  dell’uomo. Le piante “domesticate” non possono vivere senza l’uomo, tornerebbero selvatiche e poco produttive. Allo stesso tempo, l’uomo di sole piante selvatiche non potrebbe condurre uno stile di vita come quello di oggi.

L’agricoltura, ovviamente, è capace di modificare anche il paesaggio: per consentirne lo sviluppo, si controllano le piene dei fiumi, le colline impervie si terrazzano, i campi vengono arati e si usa la forza motrice degli animali, poi superata dai trattori. Si costruiscono granai, mulini, frantoi e si impara a coltivare per arricchire la fertilità dei suoli nonchè a gestire utilmente l’irrigazione. Lo abbiamo già scritto, ma occorre ribadirlo e sottolinearlo: le piante “domesticate” non sono più in grado di vivere senza l’uomo e viceversa. Andando avanti si scopre che oltre alla propagazione per seme vi è anche quella per talea e innesto. Questa scoperta permetterà di rendere più forti molte varietà e avere prodotti omogenei. Le piante allevate, è pacifico, devono essere anche protette. Proprio perché non più selvatiche, esse sono facile preda di funghi, batteri, insetti e animali. Anche i Sumeri lo sapevano e già 4.500 anni fa usavano lo zolfo per combattere gli insetti dannosi. La peronospora in Irlanda ha distrutto la coltivazione della patata causando milioni di morti per fame. A Bordeaux invece Millardet scoprì per caso la  “poltiglia bordolese” per combattere la peronospora della vite

A questo punto possiamo introdurre il tema del miglioramento genetico. Nel marzo del 1865 l’abate Gregorio Mendel presenta i risultati dei suoi esperimenti sulle piante di pisello e formula l’idea che l’ereditarietà fosse un fenomeno dovuto a fattori specifici: i geni. Da questo momento si userà il metodo scientifico per selezionare le caratteristiche migliori. Strampelli nel 1913 incrociando varietà di frumento italiano con uno giapponese crea il grano (a taglia bassa) che conosciamo oggi. Più tardi, Norman Borlaug incrociando centinaia di varietà di frumento ne produce una resistente ad un fungo (ruggine bruna) e a taglia bassa che produce dal 20 al 40% in più rispetto alle precedenti varietà. Borlaug sarà il padre della rivoluzione verde e riceverà il premio Nobel per la pace nel 1970.

Un’antichissima regola non scritta sconsiglia i matrimoni tra i consanguinei perché vi è un maggior rischio di malattie genetiche; se la si legge al contrario, significa che soggetti non “imparentati” tra loro producono progenie più vigorose. Questa regola, applicata alle piante, ha dato risultati straordinari.  Un esempio è il mais, che tramite incroci ha permesso la produzione di seme ibrido fino a 100 quintali per ettaro. La triticale invece è stata creata a tavolino e oggi è coltivata su milioni di ettari e aiuta a recuperare la fertilità dei terreni. Il creso, sviluppato in Italia nel 1960 attraverso mutagenesi, è tra i grani, quello più famoso. Sia che la mutazione sia “casuale” che indotta dall’uomo, i geni colpiti sono esattamente gli stessi. Questa è una tesi che ci servirà per le future riflessioni.

Oggi il 10% delle terre emerse è coltivato, sono 1.500 milioni di ettari, di cui la metà a cereali, che servono a sfamare circa 7 miliardi di persone, in pratica poco più di 2000 mq a testa. Ovviamente la distribuzione delle risorse non è omogenea e c’è chi ha di più, e magari lo usa anche male, chi ha di meno. Le previsioni ci dicono che cresceremo di 2 miliardi in vent’anni e la domanda ci sarà cibo per tutti? non ha una risposta così scontata. Ci sono opzioni che è meglio evitare, come aumentare la superficie coltivata a spese dei boschi (Isola di Pasqua docet); altre invece si possono perseguire:

  • durre il consumo di calorie e di carne nei paesi che più ne fanno uso
  • ridurre sprechi e perdite
  • trovare nuove fonti alimentari
  • incrementare la produttività

Vorrei chiudere la riflessione su quest’ultimo punto dicendo che per aumentare la produttività possiamo usare sia procedimenti tradizionale che nuove tecniche e il miglioramento genetico con le nuove tecnologia (NBT) sono un nuovo mondo che la politica non deve sottrarsi a capire e ad osservare. Per i più appassionati consiglio una lettura E l’uomo creo l’uomo di Anna Medolesi.