Destano preoccupazione gli ultimi dati, pubblicati dall’Istat pochi giorni fa, sull’indice di produzione industriale italiana da cui si ricava un’economia che sta andando a marcia indietro. Questa è quello che si ricava leggendo i dati dell’Istat sull’indice destagionalizzato della produzione industriale che a giugno 2016 è diminuito dello 0,4% rispetto a maggio. Nella media del trimestre aprile-giugno 2016 la produzione ha registrato una flessione dello 0,4% nei confronti del trimestre precedente. A giugno 2016 l’indice è diminuito in termini tendenziali dell’1%.

Se si pensa che già l’indice della produzione industriale del 2015 stava ai livelli di quello del 1987, cioè di 28 anni prima. le cose non si puo’ dire che vadano bene.

Certo, occorre precisare che la manifattura è solo una delle componenti del PIL e che in una certa misura è fisiologico che l’IPI perda terreno rispetto al PIL. Il dato patologico, però, come rilevano illustri economisti è che la divaricazione si accentua sempre quando fissiamo il cambio: fra 1987 e 1992 (SME) e poi dal 1999 (entrata in vigore dell’euro). In un Paese manifatturiero come il nostro il cambio rigido non favorisce certo le imprese. Da qui la perplessità sulla “bontà” tanto decantata dagli altri sulla moneta unica. Son convinto che non possiamo aspettarci alcuna ripresa fino a quando non usciremo dall’euro.

Se ricordiamo i dati diffusi a luglio scorso dalla Camera di Commercio di Perugia sull’iscrizione e la cessazione delle imprese artigiane in Umbria dal primo trimestre 2012 al primo trimestre 2016 e li accostiamo al rapporto di Bankitalia sul Pil regionale e sul Pil per abitante riferito al periodo 2000 – 2007 e 2007 – 2014, che fotografa in Umbria un andamento del Pil per abitante peggiore del Centro Italia, emerge in tutta la sua drammaticità una recessione di lungo periodo. Recessione locale e nazionale che, stando alle dichiarazioni delle massime autorità economiche anche internazionali, potrebbe peggiorare in caso di vittoria dei no al referendum costituzionale.

La minaccia di instabilità legata all’esito del referendum costituzionale è ignobile e va rigettata con decisione. Intrecciare il fenomeno economico con quello istituzionale rischia di diventare molto pericoloso. La recessione è un problema da affrontare, non un mezzo da usare per fini politici. L’orizzonte politico nazionale è ormai segnato, con buona pace di quanti in Europa preferiscono l’oligarchia alla democrazia, e la svolta sarà data dalla maggioranza dei NO al prossimo referendum costituzionale.