E’ un po’ di giorni che sentiamo dire da Draghi che la Bce interverrà. Se facciamo qualche passo indietro dovremmo ricordare che il processo di indipendenza delle banche centrali europee dai rispettivi governi è stato attuato negli anni ’80 da quei Paesi, tra cui l’Italia, che decisero di avviare l’unificazione monetaria, scelta che comportava necessariamente la separazione delle competenze tra autorità monetaria e quella fiscale con l’intento di tenere sotto controllo gli alti tassi di inflazione e di indebitamento pubblico ereditati fin dagli anni ’70;
con la separazione tra banche centrali e rispettivi governi le scelte economiche internazionali hanno cominciato ad influire sui tassi di interesse e quindi sull’onerosità del finanziamento del debito pubblico, ponendo di fatto un vincolo all’azione di governo poiché, alti tassi di interesse, causando un aumento del costo del denaro, determinano, nel breve periodo, un aumento del debito e quindi una contrazione delle spese per sanità, assistenza, previdenza ed istruzione.
Come noto, in Italia la separazione tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia avvenne nel 1981 e dispensò quest’ultima dall’obbligo di acquistare i titoli di Stato invenduti alle aste del Tesoro al prezzo base precedentemente concordato; tale separazione di fatto privò il Tesoro del sussidio derivante dai più bassi tassi di aggiudicazione in asta, ottenuti grazie all’intervento della Banca centrale, ma anche di una parte del finanziamento in base monetaria, che riduceva la sua necessità di indebitamento esterno, costringendo di fatto il Paese a ricorrere ai mercati per finanziare la propria spesa pubblica.
Nel trattato di Maastricht siglato nel 1992, a proposito del quale Jacques Attali, uno degli economisti che partecipò alla sua scrittura, ha recentemente affermato che “ la mancata previsione di una disposizione che consentisse l’uscita di uno Stato membro dall’UEM fu accuratamente voluta” , sancisce di fatto che è la Banca Centrale Europea a coordinare la politica monetaria unica e che gli Stati membri sono vincolati ad una rigida disciplina di bilancio che prevede il rispetto di precisi criteri di convergenza.
A seguire con l’introduzione della moneta unica tra i Paesi dell’eurozona imponendo di fatto un tasso di cambio fisso non corrispondente alla loro economia e non prevedendo capacità di modulazione in considerazione di strutture economiche molto differenti tra loro, ha creato nel tempo forti squilibri sulle bilance dei pagamenti e determinato, specie in Italia, una significativa riduzione della domanda aggregata che nel corso del tempo ha distrutto il tessuto produttivo nazionale, in particolare, la piccola e media impresa.
Come leggiamo, le ultime statistiche monetarie della BCE evidenziano che la moneta stampata nell’eurozona è meno del 10% di quella totale, 935 miliardi di euro contro i 10.016 miliardi di mezzi di pagamento complessivi, con 5.000 miliardi di depositi in conto corrente e i restanti in fondi comuni, depositi vincolati e titoli, fatto che spiega perché gli istituti di credito non accordino prestiti in base alla liquidità posseduta ma soltanto in base alle capacità del debitore di poterlo rimborsare.
Di fatto, ad oggi ogni intervento della BCE che sia inteso ad erogare moneta alle banche non si produce alcun effetto sulla crescita, come dimostrano recenti dati che evidenziano oltre 80 miliardi di euro non investiti.
A questo punto la domanda sorge spontanea, o usciamo subito dal cappio dell’euro o i Governi devono intervenire affinché la Banca Centrale Europea proceda urgentemente ad acquistare DIRETTAMENTE i titoli del debito pubblico dei Paesi membri altrimenti sarà la fine.