Non c’è cosa più bella di continuare a fare il portavoce del mondo dell’agroalimentare, sistema assai complesso e fiore all’occhiello del Made in Italy e della nostra Umbria.
Ringrazio Alternativa Popolare per avermi affidato questo importante ruolo di coordinatore.
Successivamente, in data 25 gennaio 2024 vengo nominato Responsabile del Dipartimento tematico Nazionale Agricoltura
Dopo il Covid e dopo – cosi dicono in molti – il Reddito di Cittadinanza, puntuale torna l’allarme manodopera in agricoltura. Vediamo però come stanno le cose e, a tal proposito riprendo un lavoro parlamentare che ho lasciato in sospese con la caduta del Governo Draghi e che spero possa essere per i lettori di riflessione.
Il CREA (https://www.crea.gov.it/) pubblicato periodicamente un rapporto dal titolo “l’impiego dei lavoratori stranieri in agricoltura”. L’ultima indagine svolta – che ho letto – ci racconta che una storia piuttosto lunga, avviata nei primi anni Novanta, quando la presenza degli stranieri nell’agricoltura italiana era ancora un fenomeno limitato. Oggi invece le cose sono cambiate perché, il contesto internazionale, con flussi di migranti dall’Est Europa prima e dalle aree nordafricane poi, hanno alimentando il bacino cui attingere manodopera a buon mercato per mansioni poco qualificate e fisicamente impegnative; anche perché, diciamocelo, ai nostri figli il bracciante agricolo non lo auguriamo di fare.
Vediamo però, cosa ci dice il rapporto citato.
L’indagine evidenzia che all’inizio del nuovo secolo, la percentuale di lavoratori stranieri in agricoltura era ancora piuttosto contenuta, il 4,3% nel 2004 (primo anno in cui l’ISTAT distingue la cittadinanza nelle forze di lavoro), ma in lento aumento. Con l’ingresso di Romania e Bulgaria il ritmo di crescita diventa sostenuto, nel 2010 la percentuale è già più che raddoppiata, arrivando al 9,2%, ma è ancora in linea con l’incidenza degli stranieri sul totale dell’occupazione italiana (9,3%). Dopo il 2008, invece, si assiste in agricoltura a una progressiva sostituzione dei lavoratori italiani con cittadini stranieri che, nel 2020, arrivano a rappresentare il 18,5% del totale;
I dati ci mostrano che fino dal 2008 al 2018 i lavoratori complessivamente erano in numero inferiore ai 900 mila (tra italiani e stranieri), mentre per gli anno 2019 e 2020 il nuemero complessivo ha superato le 900 mila unità; ciononostante, i lavoratori stranieri conservano una posizione di debolezza contrattuale che si riflette sulle condizioni di lavoro e genera marginalità, creando zone d’ombra che minacciano la sostenibilità sociale del settore agricolo italiano e ne danneggiano l’immagine internazionale;
Con la legge n. 199/2016, infatti, abbiamo voluto attivare una serie positiva di strumenti ed interventi a sostegno e a tutela dei lavoratori agricoli stagionali compresa una più robusta strumentazione repressiva dello sfruttamento del lavoro e del caporalato, promuovendo altresì la Rete del lavoro agricolo di qualità con l’obiettivo di diffondere una migliore cultura della legalità, senza però riscuotere il successo sperato , probabilmente per la carenza di un fattore incentivante efficace.
In relazione al periodo di impiego, l’occupazione straniera prevalente nel corso del periodo considerato è di tipo stagionale mentre i lavoratori impiegati per l’intero anno rappresentano una minoranza, in modo particolare tra gli stranieri comunitari. Questo è prevalentemente legato al carattere periodico di una grande quantità di operazioni agricole, in particolare quelle di raccolta. Il maggiore numero di stranieri comunitari impiegati in lavori stagionali è probabilmente attribuibile a una loro maggiore facilità, rispetto agli extracomunitari, a tornare nella terra di origine una volta completata l’attività lavorativa e ritornare in Italia qualora richiamati per la successiva. A livello territoriale nelle regioni centrali, tuttavia, si nota una maggiore presenza di impiego continuativo rispetto alle altre aree del Paese, che in alcuni anni raggiunge il 50% del totale lavoro straniero fisso e stagionale;
Tra le forme contrattuali di impiego, i contratti regolari, sia a tempo fisso sia stagionale, rappresentano la maggioranza e registrano un andamento crescente dal 2008 al 2020 passando da circa meno del 70% a oltre l’80%. I contratti informali sono più diffusi al Sud e nelle Isole ma mostrano una diminuzione nel corso del periodo 2008-2020 anche in queste aree;
Sempre secondo l’indagine elaborata dal CREA, l’offerta di manodopera straniera risulta fondamentale a causa dell’effettiva mancanza di offerta nazionale e i comparti agricoli che manifestano i maggiori fabbisogni di manodopera straniera sono in primis l’orticolo/ortofloricolo, segue il settore zootecnico, poi l’olivicolo e il vitivinicolo e infine il frutticolo. Vi è sicuramente un problema culturale in quanto il lavoro agricolo è visto come povero e poco dignitoso. Per quanto riguarda i punti di forza della manodopera straniera, sicuramente la disponibilità è una caratteristica molto apprezzata dai datori di lavoro. Spesso viene richiesto un supplemento di ore di lavoro giornaliero/mensile, specialmente nei periodi di maggior bisogno e i lavoratori stranieri risultano più disponibili a venir incontro alle esigenze del datore di lavoro rispetto ai lavoratori locali. Altro punto di forza emerso dall’indagine è l’impegno, l’affidabilità e la flessibilità dei lavoratori stranieri. I lavori stagionali richiedono affidabilità nello svolgimento e, solitamente, gli imprenditori ricorrono, ove possibile, agli stessi addetti per più anni confidando non solo in un rapporto di fiducia consolidato, anche in un grado di apprendimento e specializzazione sempre maggiore;
Sempre nel settore agricolo si registra che nei due anni di pandemia 2020 e 2021, oltre alle difficoltà negli spostamenti, sono stati caratterizzati da una minor richiesta di forza lavoro per le attività di raccolta per via delle avversità climatiche che hanno ridotto di molto e in alcuni areali quasi azzerato le rese. Molti stagionali, quindi, hanno cercato alternative, trovandole soprattutto in Germania, Olanda e Inghilterra, Paesi tra l’altro più attrattivi perché le aziende che li assumono beneficiano di sgravi fiscali e contributivi che a parità di costi i guadagni sono maggiori rispetto all’Italia; si rilevano altresì esigenze manifestate dalle aziende e dalle associazioni di categoria del settore primario relativamente alla necessità di procedere urgentemente al reclutamento di personale per determinati lavori a carattere stagionale e considerate le difficoltà di reperimento.
I questo contesto però è utile rilevare che l’andamento demografico negativo, europeo e in particolar modo quello italiano, prevede che al 2040 (dati Nazioni Unite), il numero della popolazione in età lavorativa (20-64 anni) diminuirà sensibilmente. Facciamo qualche esempio: senza flussi migratori, ad esempio la Germania si avranno 9.5 milioni di lavoratori in meno, l’Italia 8 milioni in meno, la Spagna 5.4 milioni in meno e la Francia -2.3. Se invece consideriamo i flussi migratori previsti, si avrà rispettivamente un numero sempre significativamente negativo di 6.9, 6.3, 4.7 e 1.3. Nel complesso in Europa mancheranno circa 47 milioni di lavoratori considerando i flussi migratori e 61 se blocchiamo le frontiere.
Come riportato dall’ISTAT nel comunicato stampa su Occupati e disoccupati – marzo 2022 pubblicato il 2 maggio scorso il numero di occupati torna a superare i 23 milioni. L’aumento osservato rispetto all’inizio dell’anno, pari a quasi 170 mila occupati, si concentra soprattutto tra i dipendenti. Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 800 mila unità, in oltre la metà dei casi riguarda i dipendenti a termine, la cui stima raggiunge i 3 milioni 150 mila, il valore più alto dal 1977. Il tasso di occupazione si attesta al 59,9% (record dall’inizio delle serie storiche), quello di disoccupazione all’8,3%, tornando ai livelli del 2010, e il tasso di inattività, al 34,5%, scende ai livelli pre-pandemici. Siamo, infatti, di fronte ad una contrazione del numero dei disoccupati, tra i quali sono inseriti i percettori del RdC, ad una contestuale crescita degli occupati e un decremento significativo degli inattivi (le persone tra i 15 e i 64 anni che non hanno un lavoro e non lo cercano), in media pari a circa 170.000 unità rispetto al 2018;
Dall’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, che, secondo i dati Inps, aggiornati al dicembre 2021, sono 1,2 milioni i nuclei familiari beneficiari di Rdc in Italia (l’86% di nazionalità italiana), l’importo medio dell’assegno mensile è di 587 euro, non si rileva una flessione del numero dei lavoratori a disposizione del sistema agricolo, infatti (dati ISTAT elaborati dal CREA), nel 2018 si registrano 857 mila occupati per un totale di ore pari a 604.072, nel 2019 si registrano 891 mila occupati per un totale di ore pari a 613.121; nel 2020 si registrano 909 mila occupati per un totale di ore pari a 597.767 (in linea con il blocco del lavoro dovuto alla pandemia) e per il 2021 si registrano 916 mila occupati per un totale di ore pari a 620.295;
Sempre nel settore agricolo, è altresì vero che dei circa 900 mila occupati, 100 mila hanno contratti a tempo indeterminato mentre gli altri lo hanno di tipo stagionale. Di questi, circa 350 mila (italiani e stranieri) non raggiungono i requisiti minimi per la disoccupazione. Questi dati, protetti da privacy, sono a disposizione dell’Inps e sono divisi per Comune come si può vedere a questo indirizzo:https://servizi2.inps.it/servizi/ElenchiAnnualiOTD/Default.aspx;
Relativamente a quest’ultimo punto voglio segnalare due iniziative, quella di Veneto Lavoro e i Centri dell’Impiego e qualla di EBAT a Siracusa, cosi come altre iniziative autonome delle associazioni di categoria o “io resto in campo” del Ministero del Lavoro, che tentano di mettere insieme domanda e offerta con varie tecniche che, a mio avviso sono poco impattanti nel complesso.
Cosa fare:
migliorare l’approccio delle politiche nazionali/regionali, soprattutto nella gestione dei flussi (politiche nazionali con il decreto flussi) e nell’attenzione e controllo dell’impiego di manodopera sul territorio (politiche regionali), proprio in considerazione del forte fabbisogno stagionale soprattutto in alcune aree regionali;
attivare misure incentivanti per la rete del lavoro agricolo;
promuovere con gli istituti agrari relazioni con le aziende agricole e del settore agroalimentare al fine di favorire l’incontro tra le richieste del mercato e gli istituti formativi;
promuovere una piattaforma per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche migliorando quanto realizzato da Anpal, integrando le informazioni presenti sia nei database di Agea e dell’Inps, in modo che le imprese, con facilità possano contattare direttamente, o tramite una corpo intermedio, il persone necessario, anche selezionandolo tra coloro che no raggiungono i requisti minimi per la disoccupazione agricola.
Vi ricordate la prima volta che ne parlai? Era l’ 8 ottobre 2021 (LINK). Bene, per quella proposta di legge fui attaccato dagli “ambientalisti” e, allora, il panorama politico non era tutto convinto.
Per me la notizia, del voto unanime in Commissione Agricoltura al Senato, durante la conversione del decreto legge Siccità, di un emendamento che ne permette la sperimentazione è una grande soddisfazione: vuole dire che ho seminato bene!
Devo ringraziare questo Governo e in particolar modo il Presidente De Carlo che come primo firmatario ci ha non solo creduto ma anche portato a casa il risultato. #AVANTITUTTA!
Ringrazio anche il collega e corregionale Raffele Nevi, perché con il suo gruppo ha proposto e sostenuto lo stesso tema.
Qualche volta si guarda il dito e non alla Luna. Secondo me, anche in questo caso, è così!
In questo blog – basta andare su cerca – molte volte ho scritto di questo tema ed oggi voglio recuperare qualche pillola.
L’Italia, è vero, ha un calo demografico più accentuato (come Spagna e Malta) di altri Paesi ma, è tutta l’UE che “perde abitanti”. Uscendo dall’aia, osserviamo che anche gli USA hanno questa “malattia” e il perfetto Giappone. Lo è perfino la Finlandia che ha il sistema scolastico migliore del mondo!
Allora da cosa dipende? Se ci confrontiamo con la Nigeria che nel 1950 aveva appena 50milioni di persone e arriverà a 400milioni nel 2050, non possiamo certo dire che dipende dal reddito, non credete?
Forse bisogna approfondire un po’ di più. Io ho la mia risposta ma, ve la dirò più avanti in un futuro articolo e, solo a quelli che hanno visto un po’ come va il mondo e non l’orto di casa.
Concludo con un caso interessante l’Australia. Dal 2015, complice una nuova politica delle migrazioni, ha visto crescere la propria popolazione ma, il 54% del merito (o della responsabilità) è dei migranti.
In figura voglio riportare il trend europeo e quello francese, perché la Francia fa più figli di tutti ma sempre meno (da qui la riforma delle pensioni che non piace ai francesi).
Un po’ di tempo fa scrivevo dell’importanza delle IG. In quell’articolo citavo anche le “denominazioni comunali”, note ai più come De.Co.
Nell’articolo spiegavo che tal sistema, che vuole legare un prodotto ad un territorio, non avendo una “protezione giuridica” risulta poco utile alla fine della protezione contro usurpazioni ma, dal punto di vista promozionale si puo’ fare. A tal proposito infatti voglio citare la recente sentenza della Consulta in merito alla legge Regione Sicilia n°3 del 2022 sulle creazione di un registro delle De.Co. “quale strumento per la salvaguardia, la tutela e la diffusione, in particolare, delle produzioni agroalimentari ed enogastronomiche territoriali”.
La Consulta, con sentenza n. 75 del 2023 ha dichiarato non fondata l’impugnativa del Governo, perché la denominazione comunale (De.co.) è un’”attestazione di identità territoriale” destinata a individuare l’origine ed il legame storico culturale di un determinato prodotto tipico con il territorio comunale e non si tratta di un marchio, come tale attestante la qualità, e quindi le de.co. non interferiscono con le denominazioni registrate a livello europeo (dop, igp e stg), né hanno un effetto equivalente a una restrizione quantitativa nel mercato interno.
Bene che in Senato il Presidente Luca De Carlo della Commissione Agricoltura porti avanti questa battaglia che mi ha impegnato – senza successo – per anni.
Spero che questo emendamento – al decreto PNRR – sia approvato così com’è! Poi lavoreremo sul decreto.
AGGIORNAMENTO: la norma sul “registro dei crediti di carbonio” viene approvata in via definitiva il 19 aprile 2023 con la conversione alla Camera del decreto PNRR. Ora occorrerà lavorare sulla fiscalità, la “cessione” degli stessi, deve diventare attività connessa., magari nel prossimo decreto fiscale.
Cominciamo con il concetto di agricoltura conservativa. La FAO la definisce come quel sistema produttivo che vuole ridurre al minimo il disturbo del suolo (semina diretta su terreno non lavorato), rotazioni colturali e mantenere sempre il suolo coperto. Con il termine “agricoltura rigenerativa” si intende fare un passo avanti, quello di voler recuperare la sostanza organica (SO).
Dovete sapere che la maggior parte dei suoli italiani ha un tenore di SO minore del 2%. Se questo valore dovesse raggiungere lo 0,7 non sarà più possibile coltivare: per questo non dobbiamo solo “conservare” ma “rigenerare”.
Per andare in questa direzione, non solo dovremo rispettare i principi sopra citati e imparare a gestire i residui colturali e le colture di copertura; se ci pensate, le radici e i residui sopra suolo diventano struttura stessa del suolo contribuendo, ad esempio, a ridurre la lisciviazione degli elementi minerali, a diminuire il ruscellamento, ad aumentare l’acqua trattenuta, ad abbassare la sensibilità all’erosione e ai fenomeni franosi nelle aree collinari. Il residuo inoltre è cibo per lombrichi – e altri organismi micro e macro – che contribuiscono a loro volta alla creazione del profilo del terreno: se lo lavoriamo, lo distruggiamo.
Questo tipo di approccio, che vede anche modelli aziendali da rivedere (meno attrezzature e più risparmi nelle lavorazioni), ha bisogno di meno input ed è più resiliente al cambiamento climatico, meno bisognoso di interventi fitosanitari e aumenta il sequestro di CO2 atmosferica. Su questo punto, gli agricoltori possono diventare protagonisti della cessione dei crediti di carbonio.
Diciamolo subito, non è che queste cose l’agricoltore non le sappia ma l’aratro ha il suo fascino e dimenticarsene è una sfida culturale non facile. Questi concetti non sono nemmeno sconosciuti al legislatore, infatti, se pensiamo alla produzione integrata, introdotta con l’articolo 2 della Legge n° 4 del 3 febbraio 2011 nella parte della “gestione del suolo e delle pratiche agronomiche per il controllo delle infestanti” si enuncia che: La gestione del suolo e le relative tecniche di lavorazione devono essere finalizzate al miglioramento delle condizioni di adattamento delle colture per massimizzarne i risultati produttivi, favorire il controllo delle infestanti, migliorare l’efficienza dei nutrienti riducendo le perdite per lisciviazione, ruscellamento ed evaporazione, mantenere il terreno in buone condizioni strutturali, prevenire erosione e smottamenti, preservare il contenuto in sostanza organica e favorire la penetrazione delle acque meteoriche e di irrigazione.
Leggendo con attenzione le regole, però, troviamo alcuni punti interessanti, come le tecniche da usare su pendenze importanti ma che, purtroppo, non valgono per la collina o la pianura.
Qualcosa troviamo anche nella nuova PAC che, sotto il nome di “misure agroecologiche”, come, ad esempio, l’inerbimento delle colture arboree (ECO2), cerca di andare nella direzione descritta all’inizio.
L’altra osservazione che voglio fare è quella relativa al metodo di produzione biologica: non esiste una corrispondenza diretta tra metodo biologico e incremento della sostanza organica. Questo perché in agricoltura biologica il controllo delle infestanti – problema principale – si fa tramite la lavorazione più frequente del terreno e, all’interno del suolo, un eccessiva ossigenazione accelera la sua mineralizzazione con produzione di azoto nitrico, ammoniaca e CO2.
Queste semplici riflessioni vogliono far riflettere sulla necessità di far fare un’evoluzione agli attuali metodi produttivi che vengono considerati “più sostenibili”, in quanto la perdita di sostanza organica va assolutamente fermata. Se vogliamo mantenere “vivo il suolo” e lasciarlo alle future generazioni, i principi “rigenerativi” devono diventare le pratiche da sostenere in maniera principale. Per partire, però, bisogna farle conoscere. Il 2023 può essere l’anno buono.
Questa estate ho avuto un po’ di tempo per “mettere in fila” quello che con i colleghi di Commissione abbiamo ottenuto sin dall’inizio del nostro percorso.
Nella mia prima legislatura, pur nella difficoltà data dal ruolo di opposizione, ci sono tre risultati che meritano di essere citati:
la definizione e regolamentazione della birra artigianaleintrodotte attraverso un nostro emendamento al Collegato Agricoltura del 2016 (Legge 28 luglio 2016, n. 154);
l’istituzione delle commissioni uniche nazionali (CUN) per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare introdotte dal decreto 91 del 2015;
Nell’attuale legislatura, nonostante le diverse altalene derivanti dal cambio di ben tre Governi in un triennio, siamo riusciti a mettere a segno diversi colpi che il settore agricolo ed agroalimentare attendeva da anni, e che sono diventati realtà, grazie alle numerose proposte emendative presentate a partire dal cosiddetto decreto “Emergenze agricole” (decreto-legge 29 marzo 2019, n. 27), poi nelle diverse leggi di Bilancio, ed infine nei numerosi decreti emanati per far fronte alla crisi economica causata dalla pandemia Covid-19 (“Cura Italia”, “Liquidità”, “Rilancio”, “Semplificazione”, “Agosto”). Ecco le più significative:
l’introduzione del sistema di tracciabilità e monitoraggio della produzione di latte vaccino, ovino e caprino e dell’acquisto di latte e prodotti lattiero-caseari importati dagli Stati dell’Unione europea e da Paesi terzi – per la filiera bufalina tale sistema esiste già;
per il contrasto al fenomeno della “Xylella fastidiosa” e rilancio del comparto olivicolo-oleario, oltre a norme specifiche uniche al mondo, anche uno stanziamento di circa 300 milioni;
riduzione delle accise per i birrifici artigianali del 40% sommata all’ulteriore riduzione a 2,99 euro dell’accisa per ettolitro e per grado-Plato;
stanziamenti importanti di risorse per il comparto della pesca, nel quale, per la prima volta, è stato inserito anche uno specifico riferimento alla pesca delle acque interne;
istituzione di un sistema unitario di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola, che utilizza le modalità del SQNPI che attraverso un logo distintivo, i vini italiani potranno certificare e comunicare di essere realizzati seguendo specifiche regole di produzione che diano importanza e attenzione ai relativi impatti ambientali;
introduzione del Sistema di qualità nazionale per il benessere animale con l’obiettivo di rafforzare la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle produzioni zootecniche attraverso una riqualificazione delle tecniche di allevamento e una specifica comunicazione al consumatore;
sempre con l’articolo 224-ter del decreto Rilancio (legge 18 luglio 2020) la “certificazione di sostenibilità” anche ad altre filiere produttive come ortofrutta e altre.
pegno rotativo sui prodotti agricoli e alimentari DOP e IGP, inclusi i prodotti vitivinicoli e gli spiriti, con lo scopo dichiarato di fornire un sostegno alle imprese;
monitoraggio per cereali e farine, che permetterà di tracciare lo spostamento di tutte le categorie di cereali in Italia, in tutti i diversi passaggi, sia che si tratti di prodotti nazionali sia che si tratti di prodotti importati;
estensione alle imprese agricole della possibilità di avvalersi in maniera diretta degli interventi del Fondo di Garanzia per le Pmi, così da far avere un rapido e consistente afflusso di liquidità alle imprese del settore primario;
con la legge di bilancio 2021 del Governo Draghi, all’art. 74 è stata inserita dopo innumerevoli fatiche la CISOA per i lavoratori della la pesca marittima, lagunare e delle acque interne;
in ultimo, ma non meno importante, abbiamo permesso al settore della produzione di biogas agricolo di crescere e svilupparsi partendo dal mantenimento degli incentivi per i piccoli impianti, all’aggiornamento dei sottoprodotti da utilizzare, alla norma “sblocca motori”, al “digestato equiparato” fino ad ottenere nel PNRR lo sviluppo del bio-metano.
Ho anche l’onore di avere due leggi a mia prima firma:
quella sulla diffusione dei defibrillatori semiautomatici e automatici, per la quale devo ringraziare in particolar modo i colleghi della Commissione Affari Sociali che l’hanno fortemente sostenuta.
Il 1 di agosto, dopo la crisi di Governo del 21 luglio, nasceImpegno Civico, un partito politico che vede l’unione di Centro democratico e e il gruppo parlamentare Insieme per il Futuro.
Il nostro motto è una frase di Marco Aurelio: “Ciò che non giova all’alveare non giova neppure all’ape”. Impegno Civico in sostanza è un appello a tutti gli italiani di buona volontà a lavorare insieme per superare le difficoltà di questo periodo e non farci paralizzare dalla paura del domani, solo cos’ potremo costruire il futuro che desideriamo.
Dobbiamo proteggerci dalle conseguenze delle emergenze scatenate dalla crisi energetica e dall’inflazione crescente. Dobbiamo garantire ai giovani e alle famiglie una prospettiva di vita all’altezza dei loro sogni e ambizioni. Dobbiamo consentire agli imprenditori di poter sviluppare le loro iniziative senza essere frenati da una burocrazia oppressiva e da un’eccessiva tassazione. Dobbiamo agire per salvaguardare l’ambiente e il paesaggio, la bellezza dell’Italia, e prevenire le conseguenze del cambiamento climatico, dalle siccità alle alluvioni, anche investendo risorse economiche importanti nel solco del PNRR. Dobbiamo sostenere il territorio e gli amministratori locali, rendendo più efficace la loro azione e offrendo loro un maggiore spazio di manovra.
Sicuramente nell’immediato occorre un programma per abbassare le bollette, il costo dei carburanti, dei beni alimentari e di prima necessità per proteggere il potere d’acquisto e il risparmio degli italiani. Dall’altro, però, è necessario un programma di ampio respiro per affrontare i problemi storici del nostro Paese e che hanno impedito di avere una crescita uniforme nel territorio e in linea col resto d’Europa e questo a partire dal buon uso delle risorse del PNRR che vedranno impegni per i 4/5 della futura legislatura.
Più sviluppo per sbloccare il Paese: meno burocrazia più competitività;
Appartenere alla famiglia europea è un valore imprescindibile: liberà e democrazia non sono negoziabili;
Più sviluppo per l’ambiente;
Più giovani in Italia;
Sistema sanitario nazionale diffuso e radicato nel territorio;
Patto per il lavoro: più stabilità e sicurezza;
Istruzione come tassello fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese;
Gli amministratori del territorio come snodo centrale per l’azione di Governo;
Più risorse fiscali su investimenti anziché spesa corrente;
Più energie rinnovabili per aiutare la transizione ecologica;