La politica estera che mi ha “liberato”

Poco più di due anni fa mi separavo dal fu Movimento 5 Stelle per alcune posizioni ambigue su temi internazionali cruciali, in particolare sulla guerra in Ucraina e sul ruolo dell’Italia nello scacchiere geopolitico.

Quelle stesse ambiguità, che allora mi costarono l’isolamento politico e l’uscita dai palazzi delle istituzioni, riaffiorano oggi con forza in una mozione presentata alla Camera (6-00190) dal mio ex gruppo durante il vertice Nato dell’Aia.

Nonostante questo percorso mi abbia fatto fuori dalla politica attiva, non ho rimpianti. La penso ancora come allora, forse ancora più convintamente, e leggere certi testi conferma quanto fosse necessario – e urgente – prendere le distanze.

La mozione in questione affronta con toni netti e spesso ideologici una lunga serie di temi: dalla guerra in Ucraina al riarmo europeo, dal conflitto israelo-palestinese alla questione energetica e migratoria, fino a evocare sanzioni economiche e nuove architetture istituzionali. È un testo corposo, 36 punti che spaziano dalla politica estera alla finanza europea, in un impasto dove si mescolano istanze pacifiste, posizioni antisistema, retorica anti-NATO e un populismo che non fatica a sfociare nel qualunquismo.

Si chiede, ad esempio, la cessazione immediata delle ostilità in Ucraina attraverso un processo negoziale, coinvolgendo l’ONU. Un appello condivisibile nella forma, ma subito contraddetto dalla richiesta di interrompere ogni fornitura di armi a Kiev, senza che venga chiesta una contropartita credibile o una pressione simmetrica sulla Russia, che ha invaso e continua ad aggredire. Si predica la pace, ma si propone nei fatti una resa unilaterale, senza garanzie né tutele per l’aggredito. È una visione semplicistica e pericolosamente spostata sulla linea del disimpegno occidentale.

Analogamente, si invoca una difesa comune europea, denunciando la frammentazione degli attuali sistemi nazionali. Ma nella stessa mozione si rigetta ogni possibilità di finanziamento condiviso: no ai fondi del PNRR, no ai fondi di coesione, no alla Banca Europea per gli Investimenti, no all’aumento della spesa militare. Insomma, si vuole una difesa comune, ma senza risorse e senza strumenti. È come progettare una casa senza voler costruire le fondamenta.

Ancora più evidente è la parzialità con cui si applicano i principi del diritto internazionale. La mozione dedica numerosi passaggi a condannare Israele per le sue azioni a Gaza, chiedendo sanzioni, embargo e persino la sospensione dell’accordo di associazione con l’Unione Europea. Si stigmatizzano gli Stati Uniti per l’attacco alle infrastrutture iraniane. Ma sul fronte russo, nessuna parola. Nessuna condanna dell’invasione dell’Ucraina, nessuna menzione delle violazioni del diritto internazionale da parte di Mosca. Si selezionano le vittime e si decide chi merita solidarietà e chi no. Una giustizia a senso unico, che ignora le responsabilità quando non sono utili alla propria narrazione.

L’ambiguità prosegue quando si parla di NATO: si nega l’uso delle basi italiane per eventuali operazioni statunitensi in Iran, si chiede di non aumentare le spese militari secondo i nuovi target, si contesta il criterio del PIL come parametro per il burden sharing. Tutte obiezioni legittime, se inserite in un contesto coerente. Ma qui sembrano solo pezzi di un discorso volto a dire no a tutto, senza proporre un’alternativa strutturata. Né dentro la NATO, né davvero fuori: un limbo che maschera il disimpegno come neutralità.

Ci sono poi passaggi che rasentano l’irrealismo. Si parla di riaprire canali energetici con la Russia per calmierare i prezzi, dimenticando che proprio quella dipendenza ci ha esposti ai ricatti di Mosca. Si propone un fondo per l’industria automobilistica sul modello del Sure, ma si chiede di abbandonare gli investimenti sulla sicurezza europea. Si evocano corridoi umanitari, redistribuzione automatica dei migranti e sanzioni agli Stati membri inadempienti, ma senza dire come e con quali strumenti giuridici si intende realizzare tutto questo.

In definitiva, questa mozione si presenta come un manifesto identitario, più che come un piano operativo. Esprime valori nobili – pace, giustizia sociale, difesa dei diritti umani – ma li declina con strumenti contraddittori, irrealistici o del tutto inapplicabili. È un testo che rifiuta il mondo com’è, senza fornire gli strumenti per trasformarlo. E così facendo, finisce per accarezzare le paure, nutrire le ambiguità e alimentare un’opposizione che dice molto, ma costruisce poco.

Per chi ha fatto della coerenza un tratto distintivo, leggere tutto questo è una conferma. La politica, anche all’opposizione, non può permettersi di galleggiare nel populismo delle soluzioni facili. Né di scegliere, a corrente alternata, quando difendere il diritto internazionale e quando chiudere gli occhi. Serve coraggio, anche nel dire cose impopolari. Per questo, oggi come allora, rifarei esattamente le stesse scelte.

Di filippogallinella

Parlamentare eletto alla Camera dei deputati XVII e XVIII Legislatura