In questo tempo di guerre sparse in ogni angolo del mondo, tra analisi geopolitiche, schieramenti e propaganda, mi viene spesso da pormi una domanda semplice quanto scomoda: chi sono davvero i cattivi? Chi ha torto? Chi ha ragione? E chi decide cosa è giusto? Il giudizio, dicono, lo dà la storia. Ma se volgiamo lo sguardo indietro, agli ultimi cento anni, ci accorgiamo che la storia stessa è stata spesso raccontata a pezzi, con omissioni, con silenzi selettivi. Ecco allora che il vero giudizio può nascere solo da una memoria completa, non filtrata dalle convenienze del presente.
La storia del Novecento e dell’inizio del nuovo millennio è stata profondamente segnata dalla nascita e dal consolidamento di regimi totalitari e autoritari, ciascuno portatore di un’ideologia forte e pervasiva, capace di occupare ogni spazio della vita pubblica e privata. Che fossero ispirati al nazionalismo, al comunismo o alla religione, questi regimi hanno avuto tratti comuni: il culto del capo, la soppressione del dissenso, la manipolazione dell’informazione, il controllo sociale, la propaganda sistematica e, troppo spesso, la violenza come strumento ordinario di governo.
Nel 1922, in Italia, Benito Mussolini inaugurò un modello che avrebbe fatto scuola. Il fascismo mise fine alla democrazia liberale, instaurò un partito unico, represse le opposizioni politiche e sindacali, introdusse la censura e avviò una progressiva militarizzazione della società. Negli anni Trenta, il regime si legò strettamente alla Germania nazista e approvò le leggi razziali, partecipando attivamente a una spirale di discriminazioni e violenze che culminarono nella Seconda guerra mondiale. Le vittime dirette del regime fascista, tra guerre coloniali e repressione interna, furono decine di migliaia.
Pochi anni dopo, l’Unione Sovietica di Stalin definì in modo ancor più radicale i contorni del totalitarismo comunista. Tra il 1924 e il 1953, milioni di persone furono eliminate in nome della “purezza ideologica”, della lotta contro il nemico interno o della collettivizzazione forzata. I numeri sono agghiaccianti: tra i 15 e i 20 milioni di vittime, tra carestie indotte (come in Ucraina), deportazioni nei gulag, esecuzioni sommarie e purghe politiche. La macchina statale era onnipresente e onnipotente: lo Stato non solo controllava l’economia e l’informazione, ma anche il pensiero, trasformando il cittadino in suddito.
Contemporaneamente, in Germania, Adolf Hitler prendeva il potere e trasformava la Repubblica di Weimar nella macchina repressiva più letale del Novecento. Il nazionalsocialismo unì razzismo pseudo-scientifico, nazionalismo estremo, culto del Führer e un’efficienza organizzativa spaventosa. Il risultato fu la persecuzione sistematica di ebrei, rom, oppositori politici, omosessuali, disabili. L’Olocausto portò allo sterminio di sei milioni di ebrei, mentre la guerra totale scatenata da Hitler provocò complessivamente almeno 17 milioni di vittime civili e militari, solo per quanto riguarda l’azione diretta del regime.
Non meno tragico fu il destino della Mongolia sotto il regime comunista di Choibalsan, negli anni Trenta e Quaranta, dove oltre 100.000 persone furono eliminate in un Paese con meno di un milione di abitanti. La repressione religiosa colpì in modo particolare i monaci buddisti, e il sistema staliniano venne replicato in scala ridotta ma con identico fanatismo.
Nel 1948 nacque uno dei regimi più chiusi e duraturi della storia moderna: la Corea del Nord. Fondata da Kim Il-sung, e poi ereditata dal figlio Kim Jong-il e dal nipote Kim Jong-un, è ancora oggi uno Stato totalitario dinastico. Il culto del leader è totale, i media sono completamente sotto controllo, e il dissenso viene punito con prigionia, tortura o morte. Le stime parlano di almeno uno o due milioni di vittime, tra esecuzioni politiche, carestie e internamenti nei campi di lavoro.
In Jugoslavia, dopo la fine della guerra, Josip Broz Tito instaurò un comunismo meno legato a Mosca, ma comunque autoritario. Sebbene il regime jugoslavo fosse meno sanguinario rispetto ad altri modelli sovietici, rimase comunque uno Stato a partito unico, con una polizia segreta attiva e una netta limitazione della libertà politica. Le epurazioni postbelliche causarono centinaia di migliaia di vittime, soprattutto nei primi anni.
Anche l’Albania, sotto Enver Hoxha, fu teatro di un comunismo radicale e isolazionista. Tra il 1946 e il 1985, il Paese si chiuse completamente al mondo esterno, abolì ogni forma di religione e imprigionò o uccise decine di migliaia di dissidenti. Il culto della personalità e la sorveglianza capillare trasformarono l’intero Paese in una prigione a cielo aperto.
Il caso della Cina maoista è tra i più emblematici per l’enormità delle conseguenze sociali. Il “Grande Balzo in Avanti” e la “Rivoluzione Culturale” furono due giganteschi esperimenti sociali imposti con la forza che causarono la morte di almeno 45 milioni di persone, in parte per fame, in parte per esecuzioni, persecuzioni o lavoro forzato. La trasformazione violenta del tessuto sociale e la distruzione della cultura tradizionale furono accompagnate da una propaganda continua e dalla venerazione assoluta di Mao Zedong.
Tra i regimi comunisti dell’Europa dell’Est, la Romania di Nicolae Ceaușescu rappresenta uno dei casi più brutali. Tra il 1965 e il 1989, il Paese fu governato con pugno di ferro da un leader ossessionato dal controllo e dal culto di sé. La Securitate, la polizia segreta romena, era tra le più spietate del blocco orientale. La popolazione visse per anni nella fame e nella paura, mentre i dissidenti venivano sistematicamente eliminati. Almeno 60.000 le vittime stimate.
In Cambogia, tra il 1975 e il 1979, il regime dei Khmer rossi guidato da Pol Pot impose un’utopia comunista agraria che divenne in realtà un genocidio. In soli quattro anni, circa 1,7 milioni di persone furono sterminate su una popolazione totale di 8 milioni: intellettuali, studenti, cittadini urbani e persino chi portava gli occhiali fu considerato nemico del popolo. Le città vennero svuotate, la moneta abolita, la cultura cancellata.
Anche alcuni regimi autoritari di destra lasciarono un segno profondo, pur senza raggiungere gli eccessi di controllo dei totalitarismi classici. In Spagna, Francisco Franco prese il potere al termine di una sanguinosa guerra civile e governò dal 1939 al 1975. Il suo regime represse ogni forma di dissenso, impose la censura e si alleò strettamente con la Chiesa cattolica. Le vittime, tra guerra e repressione, furono almeno 200.000.
In Portogallo, dal 1932 al 1974, il regime di Salazar, e poi di Caetano, si basò su un modello conservatore e corporativo. Anche qui si ebbero polizia politica, controllo della stampa e repressione degli oppositori, in particolare nel contesto delle guerre coloniali. Le vittime furono migliaia.
In Grecia, tra il 1967 e il 1974, una giunta militare prese il potere sospendendo la democrazia e attuando una repressione sistematica del dissenso politico. Centinaia furono gli arrestati, i torturati e gli esiliati.
A Cuba, dopo la rivoluzione del 1959, il regime guidato da Fidel Castro instaurò un comunismo a partito unico che sopravvive ancora oggi. Pur vantando progressi nel campo dell’istruzione e della sanità, il regime ha sistematicamente limitato le libertà civili e represso ogni opposizione. Le stime parlano di un numero di vittime compreso tra le diecimila e le centomila.
Nel 1979, con la rivoluzione islamica in Iran, si instaurò una repubblica teocratica che sopravvive ancora oggi. L’imposizione della legge islamica ha limitato profondamente i diritti delle donne, delle minoranze religiose e dei dissidenti. Le esecuzioni politiche e religiose si sono susseguite con regolarità, in un clima di controllo e intimidazione.
Più recentemente, lo Stato Islamico (ISIS), tra il 2014 e il 2019, ha instaurato un regime del terrore in aree della Siria e dell’Iraq. Basato su una lettura estremista e violenta dell’Islam, ha provocato decine di migliaia di vittime attraverso massacri, schiavitù sessuale, distruzione di patrimoni culturali e pulizie etniche.
Guardando questo lungo e doloroso elenco, forse nemmeno esaustivo, appare evidente che i totalitarismi e i regimi autoritari non appartengono a una sola parte della storia o a una sola ideologia. Eppure, troppo spesso nel dibattito pubblico, sui media, nelle scuole, la memoria è parziale. Si ricorda solo quello che fa comodo come se il male fosse solo da una parte. Per rispetto delle vittime, per onestà intellettuale e per educare le nuove generazioni alla libertà come valore universale, non ideologico occorrerebbe ricordare tutto.