Parliamo tanto di etica, di sostenibilità, di giustizia sociale. Lo facciamo in convegni patinati, in post ispirati, in interviste dal tono saggio e misurato. Ma troppo spesso, chi parla da un palco non guarda sotto i propri piedi. E sotto, spesso, ci sono comode scarpe di pelle e un biglietto aereo in business class.
Viviamo in una società che ha imparato a raccontarsi come consapevole, ma che continua a consumare tutto – anche la morale – come se fosse un prodotto.
Prendiamo ad esempio l’espressione “diamanti di sangue”: ci sembra qualcosa di lontano, legato a guerre africane e a miniere controllate da milizie. Eppure, se allarghiamo lo sguardo, quei diamanti sono ovunque. Solo meno brillanti.
C’è sangue anche nel coltan dei nostri cellulari.
Nelle mani dei bambini che raccolgono il cacao per la nostra cioccolata.
Nel petrolio che alimenta le nostre città.
Nei vestiti low-cost cuciti a ritmi disumani.
E anche nei magazzini in cui corrono i dipendenti di Amazon per consegnarci in 24 ore l’ultimo gadget eco-friendly, magari scritto proprio da chi critica Amazon nei suoi libri… venduti su Amazon.
Il punto è semplice: ci indigniamo per il sistema, ma lo usiamo tutti. Anche quelli che lo denunciano.
Parlano di transizione ecologica dopo aver preso tre voli in una settimana. Denunciano il consumismo con uno smartphone da mille euro in tasca. Si dicono contro la disuguaglianza mentre vivono in una bolla di privilegi che non sono disposti a mettere in discussione. E intanto la parola “etica” viene masticata, risputata e rimessa in copertina, come se fosse una moda.
Io stesso non sono fuori da questo meccanismo. Anzi: ne sono parte, come tutti. Ma almeno mi fermo un attimo a guardarmi allo specchio, e smetto di fingere.
Per questo oggi posso dire con serenità: accetterò lezioni di etica solo da chi vive davvero ciò che dice. Solo da chi sceglie la coerenza sulla comodità, il silenzio sull’autocelebrazione, il cammino sulla scorciatoia. Accetterò lezioni di giustizia solo da chi somiglia a San Francesco.
Che non prendeva l’aereo, non aveva sponsor, non vendeva nulla.
Camminava, ascoltava, si spogliava del superfluo. Non pontificava, viveva. E non lo faceva per sentirsi migliore, ma per non sentirsi falso.
Tutti gli altri – incluso me – possono continuare a parlare. Ma almeno, con un po’ di onestà, possiamo ammettere che la nostra è una morale che viaggia in business class. E che sì, brilla… ma non è poi così diversa da quei diamanti.