Dopo averlo letto con attenzione ho voluto commentare il rapporto Ispra sui pesticidi nelle acque per condividere con voi le mie riflessioni.

–          Il rapporto ci dice che in Italia (dati ISTAT 2016) si utilizzano circa 130mila tonnellate di prodotti fitosanitari (400 sostanze diverse per un mercato da un miliardo di euro). Il rapporto parla di “pesticidi” perché insieme ai “fitofarmaci”, di cui abbiamo i dati, si aggiunge la categoria dei “biocidi” per i quali non esistono rilevazioni.

–          Il rapporto esamina in particolar modo la contaminazione di alcune sostanze che per frequenza e diffusione superano determinate soglie e in alcuni casi la “dimensione” è nazionale.

–          Il monitoraggio è comunque difficile perché non tutte le regioni sono “brave” allo stesso modo: ad esempio il 50% dei campionamenti sono svolte nelle province padano-venete, dove, forse anche per questa capillarità di analisi, ci risulta la zona più contaminata; la Calabria, al contrario non ha fornito nemmeno un dato.

–          Oltre 35 mila campioni con circa 2 milioni di analisi fatte: questa la dimensione dei dati raccolti che hanno dato vita a questo rapporto.

–          Gli erbicidi sono le sostanze più rilevate, in particolar modo il glifosate nelle acque superficiali e l’atrazina (bandita dal 1980) nelle acque sotterranee; a queste ovviamente se ne accodano altre e nel rapporto c’è un bell’elenco.

–          L’altro dato interessante è il consumo medio per ettaro di fitofarmaci, pari a 4,6 kg (-8,8% rispetto all’anno precedente) e comunque in calo dal 2002, anche se poi ci sono ovviamente regioni che ne consumano più e altre meno.

–          Altra questione da segnalare è che i prodotti fitosanitari si classificano in “tossici o molto tossici”, “nocivi” e “non classificati”, i primi (dati 2016) rappresentano il 4% del totale venduto, i secondi il 25,7% e i terzi il 70,3%.

Fatto questo quadro, ciò che ci preoccupa è la ripercussione sull’uomo della presenza di tali sostanze nelle acque; le rilevazioni ci dicono infatti che nel 24% circa delle acque superficiali campionate vi è uno sforamento dei limiti, mentre per le acque sotterranee lo sforamento è nell’8% dei casi. Bisogna però dire che la sensibilità ambientale è un tema moderno e i “danni” fatti all’ambiente prevalentemente sono legati ad un modo di fare agricoltura che oggi non c’è più. Questo si vede anche dall’evoluzione normativa che c’è stata sul tema: direttiva 91/414 sull’immissione in commercio, il regolamento 1107/2009 sempre sull’immissione in commercio, la direttiva 127 e 128/2009 rispettivamente sulle macchine per l’applicazione degli agro-farmaci e sull’uso sostenibile degli agro-farmaci, il regolamento 396/2005 sui livelli massimi dei residui nel cibo e la 60/2000 in tema di acque, il regolamento 1107/2009 sui criteri per la determinazione di interferente endocrino….e molte altre. Da segnalare il progresso nel miglioramento delle produzioni in quanto, se nel 1995 i casi di irregolarità nell’ortofrutta erano il 2,3% oggi siamo allo 0.5%. Oggi non siamo all’anno zero!

Ad un certo punto, per fortuna, si comincia a parlare di agricoltura integrata, fatto che segna uno spartiacque sull’impiego dei prodotti fitosanitari (22 gennaio 2014) con l’adozione del PAN (art. 6 Dlgs. 14 agosto 2012 n.150).

Vorrei anche soffermarmi su una problematica, quella degli usi di emergenza (art.53 del 1107/2009). Per autorizzare determinate molecole esiste una procedura complessa e limitata nel tempo ma, in ogni caso tutte le volte che avviene un’autorizzazione si crea nell’opinione un sentimento negativo. Perché accade questo? Perché oggi il clima e le specie aliene hanno reso tutto più difficile, ci sono poche molecole nuove sviluppate (è difficile farle nuove perché molto costoso), per certe patologie le sostanze che si possono usare sono pericolose, ma ad oggi, salvo sviluppo della ricerca su molti settori (editing o nuove molecole), l’agricoltore in queste situazioni si trova a dover scegliere tra “perdere reddito” o “utilizzare prodotti particolarmente pericolosi”. Su questo, occorrerà lavorare.

Quindi, cosa fare?

–          L’evoluzione scientifica e tecnologica continua a svolgere un ruolo fondamentale al fine di ridurre la quantità di agro-farmaci da distribuire in agricoltura, non solo individuando molecole sempre più specifiche per l’agente di danno a cui sono indirizzate e meno impattanti sull’ecosistema, ma anche mediante maggiore attenzione all’esecuzione (evitare deriva, ruscellamento, percolazione) e lo sviluppo di sistemi di allerta o previsionali sulla presenza e la diffusione degli stessi patogeni, nonché sulle soglie di danno economico, al fine di limitare e razionalizzare gli interventi in campo. Su questo, come già accennato, la ricerca, la cultura (il patentino sicuramente è un passo in avanti importante) e l’agricoltura digitale rispondono a queste esigenze.

–          Personalmente non condivido quella linea del totale abbandono di agro-farmaci in agricoltura, sarebbe come dire, rivolto a noi stessi, smettiamo di prendere le medicine. Tra l’altro non so immaginarmi i danni economici e la maggiore importazione di prodotti dall’estero che ne conseguirebbe. Invece occorre usare quello che serve quando serve e scegliere e sviluppare quelle tecniche e quei prodotti che sono più sostenibili. Qualche volta, sempre in riferimento a noi, meglio mettere una maglia di lana o un cappello invece che prendere l’aspirina. Altre volte invece occorrerà prendere le medicine e comunque mai abusarne.