La nuova Politica Agricola Comune (PAC) entrerà in vigore il primo gennaio 2023. Sono 9 gli obiettivi che si prefigge: competitività, reddito, filiere, clima e ambiente, paesaggio e biodiversità, ricambio generazionale, aree rurali, salute e qualità del cibo. A cambiare saranno soprattutto i paradigmi: saranno, infatti, “pagati” i comportamenti e non cosa si produce.

La prima novità è che i fondi saranno erogati per obiettivi anziché in base ad una mera conformità. Ogni Stato Membro (SM) dovrà presentare un piano strategico nazionale per l’attuazione degli interventi; le Regioni a loro volta dovranno partecipare al raggiungimento degli obiettivi del piano strategico tramite le azioni dello Sviluppo Rurale (PSR). Tali obiettivi saranno misurati tramite specifici indicatori; per questo motivo il lavoro preliminare sarà fondamentale perché tutti dovranno remare nella medesima direzione. Il Ministero della Politiche Agroalimentari e Forestali, in collaborazione con le Regioni e Province autonome – e con il fondamentale supporto della Rete Rurale Nazionale – ha avviato le attività di approfondimento e analisi necessarie a definire la cornice programmatoria nel cui ambito calare le strategie di intervento. La prima fase ha portato alla stesura e condivisione di 10 Policy Brief e 10 SWOT che hanno consentito di strutturare l’analisi dello stato attuale dell’agricoltura italiana e delle aree rurali, sulla base delle informazioni derivanti dagli indicatori di contesto opportunamente arricchiti con altri indicatori ed analisi, al fine di descrivere aspetti salienti a livello nazionale, regionale e territoriale. I documenti sono consultabili e scaricabili a questo LINK.

I pagamenti diretti continueranno ad avere un ruolo fondamentale (oltre il 70% del budget) con la ben nota finalità del sostegno al reddito. Rimane l’impostazione a “pacchetto” e si dovranno scegliere le percentuali per ogni misura: sostegno di base, sostegno redistributivo, sostegno giovani agricoltori, regime clima e ambiente (eco-schema), sostegno accoppiato e interventi settoriali. Incluso nelle possibilità anche il pagamento per i piccoli agricoltori per i quali si potrebbe innalzare la soglia a 2.000 euro per rendere le operazioni di pagamento le più semplici possibile. Accanto a ciò potremmo anche individuare una soglia minima per il pagamento come avere almeno un ettaro di superficie o una PLV superiore alle 400 euro.

Il numero dei diritti all’aiuto, ricordiamolo, è pari al numero di ettari ammissibili che ogni agricoltore ha indicato nella domanda PAC 2015, mentre il loro valore è fissato sulla base dei “pagamenti percepiti” dall’agricoltore nel 2014. Il valore dei titoli in Italia, però, è molto diverso da agricoltore ad agricoltore (diversità trova le sue radici dal disaccoppiamento). La media del valore dei titoli del pagamento di base in Italia è di 217,64 euro/ha, mentre la media di tutti i pagamenti è 381,18 euro/ha. Ci sono agricoltori che hanno titoli di valore molto basso, pari a 119,96 euro/ha e agricoltori che hanno titoli di valore alto, anche superiore a 1.000 euro/ha e altri ancora che hanno titoli di valore altissimo, anche superiore a 40.000 euro/ha. (Fonte Prof. Angelo Frascarelli, editoriale Terra e Vita di febbraio 2021).  Per questo il meccanismo di convergenza interna è un processo da mettere in atto il prima possibile, accompagnandolo anche con un tetto massimo per ogni titolo per ottenere una distribuzione più equa del sostegno diretto al reddito tra gli agricoltori; una proposta potrebbe essere un tetto degressivo dal 2023 al 2026, che parta da 1000 euro fino all’omogeneizzazione dei valori. Un PAC con una importante omogeneizzazione dei valori dei titoli introdurrebbe una forte semplificazione nella gestione dei pagamenti diretti, con la soppressione del “Registro dei titoli”, della riserva nazionale e del trasferimento dei titoli, che ha generato una notevolissima complessità negli ultimi anni, favorendo inoltre la mobilità della terra e degli affitti, liberati dell’abbinamento ai titoli.

Per perseguire l’obiettivo del ricambio generazionale occorre elevare al massimo il pagamento destinato ai giovani agricoltori, ovvero al 4%. In linea anche con i principi contenuti nel Recovery Plan in merito all’uguaglianza di genere ,nei bandi dello Sviluppo Rurale occorrerebbe introdurre una premialità aggiuntiva nei bandi per l’imprese femminile.

La Commissione europea ha pubblicato l’elenco delle pratiche agricole che potranno ricevere il sostegno degli eco-schemi che, dal 2023, sostituirà l’attuale greening; gli SM dovranno, quindi, scegliere da una specifica lista quali pratiche finanziare ( elenco disponibile a questo LINK ). Ritengo che a questo “pacchetto” debba essere assegnato il massimo plafond previsto (30%) e che debbano essere fatte scelte semplici e incisive, come ad esempio:

  • Agricoltura biologica e mantenimento;
  • Rotazione con leguminose (collegandolo ad una strategia per le proteine vegetali);
  • Allevamento estensivo (in modo da aiutare le aree rurali e montane);
  • Agricoltura di precisione e gestione accurata della risorsa idrica;
  • Pratiche rigenerative del suolo per lo stoccaggio del carbonio;
  • Mantenimento pascoli permanenti.

Relativamente ai pagamenti accoppiati sarà possibile destinare fino al 10% delle dotazioni finanziarie dei pagamenti diretti e un ulteriore 2% da destinare alle colture proteiche. Il mondo accademico ci segnala l’inefficacia dei pagamenti accoppiati rispetto agli obiettivi per i quali sono stati concepiti, gli effetti distorsivi sulla produzione e sul mercato e la natura limitante della libertà di produrre o non produrre degli agricoltori, ed è concorde nella loro eliminazione o limitazione nel tempo. In generale, tutte le politiche di prezzo e/o pagamenti accoppiati si sono rivelate inefficienti rispetto agli obiettivi per i quali erano stati concepite. All’opposto, fino ad oggi, le organizzazioni agricole, agroindustriali e i decisori pubblici hanno sempre guardato positivamente al mantenimento dei pagamenti accoppiati. A mio parere la scelta più giusta da fare sarebbe quella di aiutare veramente i settori più in difficoltà, come ad esempio quello dalla barbabietola da zucchero e i settori caratterizzanti l’agricoltura di montagna, come la zootecnia estensiva e mi auguro che si vada in questa direzione.

Ulteriori elementi di flessibilità introdotti a seguito dell’accordo di ottobre riguardano, ad esempio, la possibilità di scorporare tutti i costi del lavoro dall’applicazione del capping che, a scelta dello Stato membro, può essere attuato per importi superiori a 100.000 euro di pagamento di base per azienda. Un lavoro più complesso sarà invece nella definizione di agricoltore attivo che sarà in capo allo SM.

Da segnalare che per il settore dell’olio di oliva, è stata prevista la possibilità di finanziare anche interventi di carattere strutturale, analogamente a quanto accade per il settore vitivinicolo, ed è stato eliminato il vincolo per l’erogazione del sostegno del 5% del valore del prodotto commercializzato, che avrebbe fortemente condizionato la capacità di utilizzazione delle risorse comunitarie. Un’altra importante novità riguarda il settore vitivinicolo, in particolare l’autorizzazione di nuovi impianti, che consente di utilizzare ancora i vecchi diritti in portafoglio ai produttori. Sicuramente per rendere più competitivo il settore andrebbe elevato l’attuale volume minimo per il riconoscimento delle OP.

Oramai è chiaro a tutti che occorre implementare lo strumento della gestione del rischio, per questo nelle misure PSR, aderire ad uno strumento della gestione del rischio deve divenire un prerequisito per accedere ai bandi investimenti e, sempre con uno sguardo al PSR, nel caso di impianti di arboreti biologici, l’impegno per il mantenimento sia innalzato da 5 a 8 anni in modo da evitare speculazioni.