Alla fine del 2020, anno che ci ricorderemo solo per il Covid-19, si contano però 3.093 prodotti DOP IGP STG nei Paesi UE, di cui 1.477 agroalimentari e 1.616 vitivinicoli. L’Italia con i suoi 838 prodotti è il Paese con il maggior numero di filiere DOP IGP STG al mondo, un primato che la vede superare Francia (692), Spagna (342), Grecia (260) e Portogallo (180). Nel corso del 2020, l’Italia ha registrato 13 nuove DOP IGP in 8 regioni oltre a 1 prodotto STG. L’Umbria, con l’ultimo arrivato, il Pampepato di Terni IGP, vanta il 13 posto in Italia tra DOP, IGP e STG con ben 34 prodotti (13 prodotti agroalimentari e 21 vini).

Per l’agroalimentare l’Italia vanta 312 prodotti e le 12 nuove registrazioni del 2020 sono Amatriciana Tradizionale STG (Italia), Cappero delle Isole Eolie DOP (Sicilia), Mele del Trentino IGP (Trentino-Alto Adige), Pecorino del Monte Poro DOP (Calabria), Schüttelbrot Alto Adige IGP (Trentino-Alto Adige), Provola dei Nebrodi DOP (Sicilia), Olio Lucano DOP (Basilicata), Colatura di Alici di Cetara DOP (Campania), Limone dell’Etna IGP (Sicilia), Pampepato di Terni IGP (Umbria), Rucola della Piana del Sele IGP (Campania), Mozzarella di Gioia del Colle DOP (Puglia, Basilicata).  Per il settore vino nel 2020 sono state registrate 2 DOP, il Delle Venezie DOP (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige) e il Friuli DOP (FriuliVenezia Giulia) finora riconosciute solo a livello nazionale con autorizzazione all’etichettatura transitoria.

Nel 2019 l’agroalimentare italiano ha raggiunto i 7,66 miliardi di euro di valore alla produzione crescendo del +5,7% rispetto all’anno precedente, mostrando un trend del +54% dal 2009. Il valore al consumo di 15,3 miliardi di euro cresce del +6,4% su base annua, con un +63% nell’ultimo decennio. Il comparto dei formaggi DOP IGP domina la classifica in termini economici con 4,5 miliardi di euro alla produzione (+10%) e 7,5 miliardi al consumo (+5%), a fronte di una produzione complessiva tendenzialmente stabile a 549mila tonnellate (+1%). I prodotti a base di carne si attestano su un valore alla produzione di 1,9 miliardi di euro nel 2019, in calo rispetto all’anno precedente, anche se al consumo si sfiora la quota di 5 miliardi di euro con un +3,5%. Gli ortofrutticoli DOP IGP registrano un valore di 318 milioni di euro alla produzione (+2,1%) e di 894 milioni di euro al consumo (+27%). Riprende a crescere il comparto degli aceti balsamici DOP IGP, il terzo per valore nel settore Cibo IG con 389 milioni di euro alla produzione e 989 milioni al consumo, entrambi al +5,6% sull’anno precedente. Il 2019 è stato un anno con meno prodotto di olio certificato pari a 11mila tonnellate (-11%), a causa di una disponibilità complessiva 2018 particolarmente scarsa con un valore alla produzione di 82 milioni di euro (-4,6%) e di 134 milioni al consumo (-7,4%). Con 14mila tonnellate di produzione di carene fresca certificata (+1,4%), 92 milioni di euro alla produzione (+0,9%) e 196 milioni al consumo (+0,8%), la categoria conferma i risultati dell’anno precedente. In grande crescita la pasta IGP e molti prodotti DOP IGP della pasticceria e panetteria per un totale di 336 milioni di euro alla produzione (+27%) e 567 milioni al consumo (+29%.

In Umbria i prodotti a denominazione hanno sicuramente la loro importanza; si registra infatti un valore di 31 milioni di euro per i prodotti a base di carne, 2 milioni di euro per i prodotti ortofrutticolo, 4 milioni di euro per l’olio DOP IGP, 9 milioni per le carni fresche e 64 milioni per il vino. L’economia delle denominazioni quindi vale per il nostro territorio 111 milioni di euro che ci posizione al 15 posto nella classifica degli impatti economici di tali prodotti sulla regione.

A partire da febbraio 2020, la pandemia Covid-19 ha spazzato molte certezze che vedevano in crescita le nostre produzioni a denominazioni evidenziando in maniera estremamente chiara che la catene del valore è molto legata all’export e al canale Horeca nelle sue diverse tipologie. Questo ci dovrebbe far capire che la nostra economia delle eccellenze è legata al “muoversi delle persone” e all’export e quindi l’impegno che dobbiamo mettere in questa farse è da un lato aiutare le imprese a resistere ma contestualmente allargare gli orizzonti di scambio con quei paesi che oggi non registrano problemi legati al covid come nel nostro continente. Il “chiudersi a riccio” non è la soluzione per un pese come l’Italia.

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