In Italia ogni anno lavorano nei campi 1 milione e 100 mila persone: di queste, quasi 350 mila è rappresentata da manodopera stagionale straniera che, a causa delle restrizioni per frenare la diffusione del Covid-19, non potrà prestare la propria opera nei lavori stagionali nelle campagne italiane.

Risulta innanzitutto necessario dare vita ad una piattaforma digitale istituzionale per l’incontro tra domanda e offerta in agricoltura. La struttura è già stata realizzata da ANPAL: va sola adeguata alle esigenze e peculiarità del comparto primario e riempita con le informazioni presenti nei database di AGEA (imprese con localizzazione delle relative particelle di terreno e dei luoghi di lavoro) e di INPS (lavoratori).

Di fianco a questo tema si è sentito parlare spesso di reintrodurre i “vecchi voucher”. Voglio ricordare che con il decreto legge 25/2017 viene abolita questa disciplina che poi verrà reintrodotta con il decreto “dignità” in una nuova versione. Le differenze con la “prima serie” sono che la durata della prestazione occasionale passa da 3 a 10 giorni. Il prestatore di lavoro registrandosi all’INPS dovrà auto dichiarare se si tratta di pensionato, studente under 25, disoccupato o percettore di reddito di inclusione o di altro sostegno al reddito e di non essere stato iscritto negli elenchi dei lavoratori agricoli nell’anno precedente. Tale articolazione non ha funzionato perché non di facile utilizzo e non rispondente alle esigenze immediate di personale. Una possibile soluzione è la reintroduzione del libretto del lavoratore agricolo digitale (vedi approfondimento in fondo).

Ma proprio vero che in Italia non ci sono lavoratori agricoli disponibili? Proprio negli elenchi INPS troviamo un primo potenziale bacino di possibile manodopera: sono circa 350 mila i lavoratori (di cui 164 mila stranieri) che storicamente non riescono a raggiungere le 50 giornate. Si tratta di gente che ha già prestato la propria opera in agricoltura e che, magari, non è riuscita a trovare nuove occasioni di lavoro ma che sarebbe molto propensa all’impiego in quanto la 51 esima giornata rappresenta il traguardo per ottenere un primo sussidio al reddito: l’assegno di disoccupazione agricola. (vedi approfondimento in fondo)

Un secondo potenziale bacino potrebbe essere rappresentato da coloro che percepiscono sostegni al reddito ma che sarebbero allettati dalla possibilità di poter rimpinguare il proprio reddito (che, sottolineo, essere non elevato) attraverso lavori stagionali in agricoltura a patto di non perdere il proprio beneficio durante questo periodo di emergenza Covid-19. È necessaria una modifica normativa temporale ma ciò sarebbe immediato.

Quella che manca – il terzo punto su cui lavorare – è manodopera straniera, la cui maggior parte è comunitaria, oggi non presente in Italia a causa del Covid-19: l’Ue ha agevolato la creazione di “corridoi verdi” per far giungere nei Paesi dove è necessario (Italia, Spagna, Portogallo) questi lavoratori agricoli in totale sicurezza.

Quarto punto: abbiamo tutta la platea di immigrati irregolari già presente sul nostro territorio, una non meglio precisata stima di 600mila persone “invisibili” costrette ad alimentare il mercato nero del comparto primario, dell’edilizia, dei servizi alla persona. Una regolarizzazione di massa tout court di costoro non rappresenterebbe, però, la risposta alle necessità di manodopera stagionale in agricoltura. Una platea del resto “potenziale”, in quanto nessuno può costringere queste persone all’impiego in agricoltura. Le diverse sanatorie degli irregolari (l’ultima fu del ministro dell’Interno Maroni, Lega) non hanno risolto le problematiche. E non lo farà neppure una nuova. Dobbiamo, del resto, evitare il rischio di una competizione al ribasso del mercato del lavoro che si instaurerebbe se una regolarizzazione tour court riversasse i “potenziali 600.000” sul mercato del lavoro agricolo: tutti gli irregolari andrebbero alla ricerca dell’imprenditore agricolo che gli garantisca 1 o 2 giornate per ottenere il permesso stagionale, garantendo loro una permanenza legale ma non la manodopera nei campi.

Va delimitato il percorso di regolarizzazione a tutti gli stranieri extracomunitari che sono venuti in Italia negli ultimi 5 anni con permesso di soggiorno stagionale (riservato al turismo e all’agricoltura) e che non sono riusciti a trovare un nuovo contratto di lavoro alla fine di quello stagionale, per poter chiedere la conversione del permesso “stagionale” in “lavoro subordinato”. Si tratta di gente non rientrata nel proprio Paese di origine e oggi ai margini della società. Non si tratterebbe di una sanatoria generalizzata ma di dare l’occasione a gente che lo Stato italiano conosce di poter rientrare nel circuito legale con un nuovo permesso di lavoro stagionale di 9 mesi. Una possibilità simile trova, peraltro, il suo fondamento normativo proprio nel Decreto Sicurezza che prevede l’estensione temporale del permesso di soggiorno proprio in situazioni di calamità. E più calamità del Covid-19 (art. 20 bis).

Nel corso del 2019, il Decreto flussi aveva previsto che potevano essere chiamati a lavorare stagionalmente 30.850 lavoratori suddivisi tra varie nazionalità. Di questi, 12.850 posti erano riservati alle conversioni da stagionale a subordinato, a lavoro non subordinato e a lavoro autonomo. Gli altri 18.000 erano riservati ai primi ingressi nel settore agricolo e turistico alberghiero. Negli anni precedenti, la situazione era stata praticamente la stessa. Sulla base di queste quote e dell’iter descritto per la trasformazione dei permessi stagionali in lavoro subordinato, si potrebbe stimare che almeno la metà del numero complessivo previsto dai decreti stagionali, non sia riuscita a stabilizzarsi nel nostro Paese e, quindi, siano rimasti in clandestinità. Una norma in tal senso non avrebbe oneri per lo Stato italiano e metterebbe immediatamente a disposizione un bacino potenziale di 40.000 lavoratori circa.

>> Cos’è il libretto di lavoro agricolo digitale?  Chiunque, con requisiti fisici idonei, lo può richiedere facendo domanda all’INPS. Questi dovrà risultare idoneo con un certificato medico (che vale ad esempio un anno solare) e essere in possesso di DPI minimi (guanti, scarpe, occhiali) in modo che non sarà in capo all’azienda che ha bisogno di prestazioni occasionali una “dispensa di DPI”. 

Questi saranno in un elenco dell’INPS a disposizioni delle imprese anche categorizzati per comune, provincia, auto-muniti ecc. ecc. Appena l’azienda manda il messaggio, l’interessato con un APP (al quale si è registrato e risultato attivo se la documentazione è completa) risponde e una volta accettata la prestazione entro fine mese l’azienda deve pagare (come per gli attuali voucher del libretto famiglia con un prezzo fisso che va un tot al lavoratore e un tot allo inail/inps).

L’unico limite deve essere in capo all’azienda che non può avvalersi della stessa persona per più di un tot di ore (es. 150 ore, diversamente l’azienda fra un contratto stabile); per l’operaio agricolo invece non metterei un limite troppo basso perché potrebbe fare il “nomade” per lavoro (un mese i pomodori, poi i carciofi, poi gli asparagi, poi l’uva e gli ulivi ad esempio). Entro un cero volume l’anno (es. 5000 e lorde) non si perdono sussidi e non si pagano le tasse sul reddito. Ovviamente la prestazione deve essere dichiarata prima di lavorare.

In questo modo si rendono più facili i controlli, si tracciano i pagamenti, si facilità la vita delle aziende e dei lavoratori e si lotta il caporalato perché avremo un “navigator” digitale. Questo vale anche per gli stranieri che vogliono lavorare in Italia.

>> Perché serve una piattaforma? Se guardiamo gli elenchi INPS di questi lavoratori possiamo scoprire che solo nel comune di Perugia e Terni sono oltre 1400. Se le aziende li potessero chiamare direttamente sarebbe meglio ma la “privacy” lo impedisce cosi devono cercarli da sole, magari il Comune si può inventare intermediario perché li conosce ma sicuramente non è un servizio efficiente. In altre zone, purtroppo, questo servizio lo fa il caporale. Per questo serve subito una piattaforma ad hoc.