Il sostegno finanziario erogato dagli strumenti della Politica Agricola Comune ( PAC) rappresenta per le aziende agricole un contributo indispensabile a garantire adeguati livelli produttivi, a fronteggiare la concorrenza dei Paesi terzi i cui costi di produzione sono molti inferiori a quelli comunitari e a sviluppare pienamente le straordinarie potenzialità di un settore primario che assegna al nostro Paese la leadership mondiale delle produzioni di eccellenza e di qualità. 
L’accordo sulla PAC per il periodo 2014-2020, raggiunto dalle Istituzioni comunitarie lo scorso mese di giugno, definisce gli elementi chiave della riforma che si articola su quattro regolamenti principali riguardanti: i pagamenti diretti, l’OCM unica, lo sviluppo rurale e il finanziamento, la gestione e il monitoraggio della PAC. 
Rispetto alle proposte di regolamento presentate dalla Commissione europea nell’ottobre 2011, le modifiche più significative apportate nel corso del negoziato riguardano: l’introduzione del pagamento ridistributivo, la convergenza interna, l’assegnazione di nuovi titoli, il pagamento ecologico o “greening”, l’agricoltore attivo e il regime dei pagamenti accoppiati.
Con riferimento alla componente verde dei pagamenti diretti, le novità introdotte escludono dall’obbligo del greening le colture permanenti, quali vigneti, uliveti, frutteti e agrumeti oltre che i prati e pascoli permanenti, prevedono la modulazione dell’obbligo di diversificazione delle colture in base alla superficie aziendale ed introducono l’equivalenza di inverdimento per la quale le pratiche favorevoli all’ambiente già poste in essere, quali quelle biologiche, sostituiscono gli obblighi di sostenibilità ambientale prescritti dal greening. 
Al fine di tenere conto della struttura delle rispettive economie agricole, l’accordo politico relativo alle proposte di regolamento sulla nuova PAC, demanda agli Stati membri una serie di scelte riguardanti l’applicazione della riforma tra cui: l’ampliamento della lista dei soggetti che non possono essere considerati agricoltori attivi, i requisiti minimi per beneficiare dei pagamenti diretti, le percentuali di riduzione dei pagamenti il cui importo supera i 150.000 euro, l’entità del trasferimento delle risorse tra i pilastri, nel rispetto dei massimali stabiliti, l’adozione di un valore medio dei pagamenti diretti a livello nazionale o regionale, i criteri per la prima assegnazione dei diritti all’aiuto, la costituzione di riserve regionali in alternativa alla riserva nazionale, la quota di finanziamento del pagamento ridistributivo, l’entità del sostegno accoppiato.
Secondo noi le misure più idonee ad assicurare che l’applicazione della riforma sia in linea con le peculiarità e le caratteristiche del sistema agricolo italiano devono essere:
– adottare un modello di convergenza interna che consenta di uniformare, entro il 2019, i pagamenti diretti agli agricoltori verso il livello medio nazionale, attraverso la fissazione di percentuali fisse decrescenti di anno in anno ( dal 2015 al 2019) del massimale da assegnare ai titoli storici e di percentuali fisse crescenti, per i corrispondenti anni, da assegnare ai nuovi titoli, al fine di non penalizzare eccessivamente gli agricoltori con titoli di valore elevato; 
stabilire che il 5% delle risorse del I pilastro sia trasferito a valere sul Piano nazionale per la gestione del rischio, a fronte del fabbisogno stimato pari a circa 220 milioni di euro riferito ad avversità ed epizoozie; 
-innalzare a 250 euro/ azienda la soglia minima per l’accesso al pagamento diretto anche al fine di rendere conveniente l’aiuto rispetto al costo burocratico da sostenere per l’istruzione della pratica; 
– valutare gli usi collettivi delle risorse idriche come rilevanti ai fini del greening, in quanto consentono un uso più razionale e ridotto dell’acqua;
fissare al 25% la percentuale di reddito derivante da attività agricola necessaria per essere considerati “agricoltori attivi” e salvaguardare gli enti pubblici che fanno attività di ricerca e/ o didattica; 
– attivare il pagamento ridistributivo portando il limite degli ettari ammissibili a 10 in considerazione della dimensione media delle aziende agricole italiane che è pari a 8 ettari; 
attivare il pagamento “flat” per i piccoli agricoltori; 
– destinare l’intero massimale del 15% al finanziamento del sostegno accoppiato assicurando che almeno il 2% sia destinato al sostegno della produzione delle colture proteiche; 
con riferimento al cofinanziamento di programmi specifici, destinare, nel settore vitivinicolo, maggiori risorse del Piano nazionale di sostegno alle assicurazioni sul raccolto in considerazione della esiguità degli importi previsti pari a circa 20 milioni di euro e ad utilizzare gli importi assegnati al comparto dell’olio per la promozione dell’informazione al consumatore; 
– nell’ambito del Partenariato Europeo per l’Innovazione, promuovere la costituzione di gruppi operativi tra enti di ricerca ed agricoltori al fine di rimuovere gli ostacoli ai processi innovativi e colmare la distanza tra i risultati della ricerca e l’adozione di nuove pratiche e tecnologie da parte degli agricoltori e delle imprese agricole; 
– incentivare la diffusione di contratti preliminari attraverso adeguate azioni informative riguardo alle caratteristiche di tali strumenti contrattuali largamente utilizzati in Europa; 
valutare l’opportunità di inserire nel contratto di Partenariato linee guida per i PSR volti a potenziare la realizzazione di opere innovative nel settore dell’irrigazione e ad incrementare l’occupazione in agricoltura attraverso il finanziamento prioritario di progetti che creano opportunità di impiego; 
– ad escludere dal calcolo dell’ammontare oggetto di riduzione progressiva nell’ambito del “capping” le spese relative ai salari legati all’attività agricola, incluse le tasse e i contributi previdenziali;
– coinvolgere le competenti Commissioni parlamentari nella definizione delle misure di attuazione demandate agli Stati membri al fine di orientare le scelte “politiche” in maniera rispondente alle esigenze degli operatori del settore; 
– ridurre la complessità delle procedure nell’ottica di mitigare gli effetti di una politica comunitaria che, concentrata sulla spesa e sul controllo, è più orientata alla conformità alla normativa piuttosto che alla performance e al rendimento, anche al fine di scongiurare un incremento dei costi di gestione per lo Stato, oltre che un onere burocratico complessivo a carico dei beneficiari che potrebbe risultare anche maggiore dell’ammontare del finanziamento concesso.