L’Inghilterra lo sappiamo bene, ha sempre guardato con un certo scetticismo all’integrazione europea, eppure ne fa parte e ne condiziona gli sviluppi ma solo ed esclusivamente se “farne parte” conviene agli interessi inglesi; questa sicuramente non è l’integrazione solidale e federale a cui pensava Spinelli a Ventotene.
Contrariamente allo spirito dei padri fondatori questa unione delle politiche di austerità e dei trattati irriformabili dal basso è il frutto di divergenze ed egoismi nazionali che poi alimentati dal diverso grado di sviluppo delle economie hanno contribuito a costruire una integrazione vantaggiosa per alcuni e svantaggiosa per altri, dove le regole valgono per alcuni ma non per tutti.
Londra ha chiesto ed ottenuto un trattamento privilegiato non solo sulla Politica Agricola Comune ma si è opposta,finché ha potuto, all’Atto unico europeo, ha chiesto ed ottenuto di non partecipare all’euro quasi fosse un’onta per la sterlina nazionale (ma la Banca di Inghilterra ha una quota rilevante di controllo sulla BCE, circa il 16%) , non ha aderito al trattato di Schengen, non ha accettato il mandato di cattura europeo, non ha approvato il dissennato fiscal compact, dice no alla tassa sulle transazioni finanziarie perché nulla deve intaccare il ruolo della city nel mondo.
Quanti cittadini sanno che l’Italia, per un assurdo meccanismo, che pare irriformabile, è un contribuente netto al bilancio dell’Unione, cioè versa più di quanto riceve sotto forma di aiuti diretti all’agricoltura e fondi strutturali, nonostante la sua economia sia più in crisi di quella di altri membri ?
Quanti cittadini sanno della tradizionale revisione degli squilibri di bilancio denominata “correzione britannica” che consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66% della differenza tra il suo contributo al bilancio Ue e l’importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando, di riflesso, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri tra cui l’Italia?
Questo meccanismo di sconto a favore della Gran Bretagna, noto come UK rebate che tra l’altro non ha data di scadenza, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25/26 giugno 1984, con la quale si stabilì, che “…ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito”; ma fino ad ora nessun altro stato membro ha beneficiato di tale correzione, non ostante il dichiarato carattere generale della decisione del Consiglio di Fontainebleau.
Le conseguenze che derivano agli interessi italiani da tale disposizione sono rilevanti considerato che Roma e Parigi da sole contribuiscono a versare a Londra la metà dell’importo complessivo del “rebate” .
Noi abbiamo depositato una mozione che impegna il Governo a mettere all’ordine del giorno dell’agenda europea e del prossimo semestre di presidenza italiana la revisione degli accordi di Fontainebleu ed adeguati correttivi al bilancio comunitario al fine di eliminare lo squilibrio a carico del nostro Paese. Noi siamo pronti a cambiare le cose sia in Italia che in Europa.